Se c’è un rapper di cui vorrei sempre parlare bene quello è Emiliano. Abbiamo più o meno la stessa età e ci siamo ritrovati, seppur in modi e con risultati diversissimi, nel gioco del rap più o meno nello stesso momento. L’ho visto live un numero di volte imprecisato (dai tempi in cui si portava “Agon” a fare gli showcase, chi c’era ricorderà) e quando veniva attaccato dalla scena storicamente figa-repellente del rap italiano come “lo zarro delle giostre”, ho sempre preso le sue difese. Perché? Perché non sarà il rapper più acculturato e le sue liriche non saranno un simposio di fisica nucleare, ma una cosa gli va sempre riconosciuta per onestà intellettuale: dal freestyle ai singoli per le fighe, dal pop ai jingle televisivi, il responso è sempre lo stesso. Sa rappare, punto. Questa cosa ai tempi stava sul cazzo a molti, specie a quelli che vedevano nel rap italiano una sorta di circolo elitario in cui, per emergere, dovevi campare a Kellog’s e Kaos One dai 2 anni in su. Dava fastidio che uno che con quell’ambiente c’entrava come il viagra nei porno lesbo, stesse facendo il culo a tutti quanti.
Quando a 17-18 anni avevo il sogno di diventare un rapper e fare musica, lui era quello che ci stava davvero riuscendo. Un “supereroe” insomma, proprio come il titolo del suo ultimo album.
La domanda però rimane, Emiliano è ancora un supereroe?
Sì, a tratti. Il che rimane comunque tanta roba. In che senso? Dopo l’uscita di “Terza Stagione” mi è sembrato abbastanza confuso sul da farsi. Per la prima volta nella sua carriera mi è sembrato che si stesse muovendo un po’ a tentoni nel tentativo di capire come poter riallacciarsi al treno dei grandi numeri che lo aveva abbandonato con quel disco. Si perché per uno come lui passare dal multi-platino al “solo” disco d’oro, dev’essere stata una bella botta. Ironia della sorte che “Terza Stagione” sia indubbiamente il disco più bello della sua carriera e quindi ennesima dimostrazione di come la gente in Italia non abbia mai capito un cazzo.
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L’altro giorno leggevo un pezzo di Noisey che, in un mare di considerazioni che non mi sento di condividere (per l’autore del pezzo i punti “alti” del disco, sono per me i più imbarazzanti: Donald Trump, Adios e Rollercoaster), ha colto appieno uno dei punti cruciali della questione. Ossia come Emis Killa si trovi in una sorta di limbo a metà strada tra i mostri sacri (Fibra e Guercio) e le nuove generazioni collezioniste di platini (Dark Polo, Sfera Ebbasta e roba varia). Una terra di mezzo in cui non si sa bene al tempo di quale musica si debba ballare. Faccio il pezzo che strizza l’occhio alla trap? Faccio la paraculata reggaeton per le fighe? No aspetta, però forse dovrei fare vedere che so ancora rappare come un capo. Forse dovrei fare il cattivo ragazzo? Sì, ma i pezzi d’amore?
Emis Killa in questo disco ha fatto tutte queste cose ed è quindi molto difficile dare un parere omogeneo sul disco perché, sostanzialmente, il disco è un po’ tutte queste cose.
Rimane un bel lavoro con alcuni pezzi da brividi (“Open Water” e “Fuoco e benzina” è un uno/due da peso massimo) ma l’impressione è che ci fosse la volontà di evitare di “toppare” coi numeri per due volte di fila. Peccato.
Sarebbe bello sapere cosa sarebbe successo se “Terza Stagione” avesse ricevuto il successo che meritava, probabilmente “Supereroe” avrebbe preso sembianze diverse. Magari un qualcosa davvero da ricordare. Rimane invece “solamente” un buon disco.
Articolo scritto da uno di quelli
“che ora fanno i giornalisti, un tempo hanno provato a fare i musicisti”
Emis Killa – Donal Trump