E’ un afosissimo sabato pomeriggio di fine luglio quando raggiungo Mondo Marcio in zona Niguarda a Milano, nella quale vive da ormai 10 anni.
Lui arriva puntualissimo, mi fa salire sulla sua macchina, con la quale mi porta in giro nella sua zona, mi fa vedere dove aveva il vecchio studio di registrazione e mi parla della sua vita, della sua musica e dei suoi progetti futuri.
Per tutto il tempo nella mia testa riecheggiavano le parole di “Tieni duro”, da sempre una delle mie canzoni preferite e devo ammettere che è stato molto interessante e formativo potermi confrontare con artista del suo calibro.
A Mondo Marcio, insieme a Fabri Fibra e successivamente Club Dogo e Marracash, va sicuramente il grande merito di aver sdoganato il rap in Italia e di averlo portato al livello in cui è ora. Il contributo dato da lui e dai suoi colleghi sopra citati a questo genere musicale nel nostro paese è innegabile e quando si nomina Mondo Marcio, per me si nomina il Rap italiano.
Ecco, mi trovavo in macchina con il Rap italiano, con un’artista fortissimo, con una grande storia alle spalle, con uno dei maggiori esponenti di questo genere musicale in Italia, ma al tempo stesso, mi trovavo in macchina con un ragazzo, con solo un uomo.
Di Mondo Marcio e del suo background sappiamo tutto, dal divorzio dei suoi genitori, alla sua adolescenza, ci ha raccontato tutto lui nei suoi dischi e nei suoi testi che sono estremamente autobiografici e che negli anni ci hanno catapultato nella sua vita e nel suo immaginario.
Una curiosità che non sapevo e che mi ha raccontato lui, è che quando ha iniziato a rappare, Hano.it esisteva già e che ha conosciuto Bassi Maestro, tantissimi anni fa, a una serata durante la quale ha conosciuto anche gli stessi fondatori di Hano (Carlito e Zè). Bassi Maestro ha subito visto in lui un enorme potenziale di freestyler e mc e, grazie al suo supporto e al suo talento, Gian Marco ha vinto Tecniche Perfette a soli 16 anni e nel 2004 ha pubblicato “Mondo Marcio”, il suo fortunatissimo album d’esordio. Ma questa è un’altra storia.
“Abito tra Niguarda e Bicocca”, inizia a raccontarmi Gian Marco, “vivo qua da un bel po’ di anni e questa zona è quella che bazzico da un po’, da quando sono ritornato a Milano. I miei si sono separati che avevo 8 anni, ci sono stati un po’ di anni di situazioni varie col comune, affidamenti congiunti, quando poi sono andato a vivere con mia madre, sono andato ad abitare a Melegnano che si trova a Milano sud e sono stato lì per circa 5 anni. Poi sono tornato a vivere a Milano, all’altezza di Piazzale Bacone e lì sono stato altri 4 anni circa e poi ho comprato casa in questa zona, sono qui ormai da circa 10 anni e poi chi vivrà vedrà.
Adesso stiamo andando dove ho avuto lo studio per 4 anni, che comunque è una zona importante perché io passo molto tempo in studio e quindi giro quasi più in quelle zone che in quelle dove vivo. Ho avuto lo studio per diversi anni ad Affori Bruzzano, solo che in 3 anni hanno ammazzato due persone e allora ci siamo fatti due conti e abbiamo detto c’è una media di 0.75 morti all’anno, spostiamoci. No, scherzo, non è stato per questo, più che altro serviva più spazio perché io adesso sto suonando anche con la band e quindi serviva uno spazio per far le prove e ne ho preso uno di 2/300 mq subito fuori Milano, quindi adesso ho lì lo studio. Però ho avuto per diversi anni lo studio ad Affori, dove stiamo andando adesso, e qua è sempre zona mia in qualche modo”.
Quanto ha influenzato la zona, il quartiere, le tue canzoni?
“Tanto, perché comunque gli artisti, in generale, sono un po’ delle spugne, nel senso che assorbono tutto quello che li circonda in un modo o nell’altro. Dalle facce che vedo, dai dialoghi che sento la mattina quando vado a far colazione, a comprare i sigari, o dai dialoghi della gente che incontro per strada, assorbo un po’ della loro energia e delle loro storie”.
Nelle tue canzoni però c’è tanto di te, oltre alle storie degli altri
“Sì nelle mie canzoni c’è tanto di me, le mie canzoni sono pesantemente autobiografiche e sono tanto orgoglioso di questa cosa, senza menarmela, perché non c’è un cazzo di cui menarsela, però sono contento che la mia musica sia così, è un po’ una specie di documentario”.
Forse è proprio il rap che dovrebbe essere così
“Secondo me il rap non dovrebbe essere in nessun modo, questo è soltanto il mio modo di far le cose, poi se c’è qualcuno a cui piace, e mi sembra che a qualcuno stia piacendo, bene così. Però non ci sono delle regole, non sono un fan delle regole in generale, specie nella musica”.
Tu adesso hai anche il progetto Hip Hop School a Fiordaliso, giusto?
“Sì, quello è un progetto molto bello perché si tratta di portare la musica hip-hop nelle scuole, soprattutto in una fascia d’età molto scomoda per le scelte che un ragazzino può fare. Io quando avevo 15 anni, prima di sposare appieno la carriera musicale, facevo un po’ di tutto, comunque fumi, vendi, mai a livelli grandi, però stai in strada a perdere tempo. E quindi ho pensato che figata portare la musica ai ragazzi che vivono nelle zone periferiche, perché comunque il Centro Commerciale Fiordaliso è a Rozzano comunque ci danno dentro.
Ecco, vedi, qui siamo ad Affori, praticamente a un tipo hanno sparato lì dentro” mi dice Mondo Marcio indicandomi un bar, “poi vedi, quando hai lo studio qua, non ci fai caso, però quando ci torni, come adesso che ci stiamo tornando o anche tempo fa che ci sono tornato, sembra un poliziesco degli anni ’70, le stradine sono piccole, le facce che vedi non sono facce del 2017, quindi sembra di entrare in uno di quei film, sai tipo “Milano spara”, solo che quando avevo lo studio qua non me ne rendevo conto perché ero qua quasi tutti i giorni.
Tornando al discorso di Hip Hop School, per me è molto importante perché porti qualcosa di artistico, di creativo in zone dove magari non arriva e soprattutto in un periodo nella vita dei ragazzi in cui è importante avere un’alternativa al perdere tempo in quartiere.
Ecco vedi, qua era lo studio”, dice indicandomi un portone, “e qua hanno sparato all’altro tipo, proprio di fronte. Questa, invece, è la quadrata, una piccola piazza nella quale i ragazzini si ritrovano a farsi le canne e a fare tutti i giri. Questo è stato il mio playground per un po’ di anni, anche se io venivo qua a fare musica, non a fare altro, però sai questo era quello che c’era intorno.
Il periodo in cui ho viaggiato di più e penso sia una cosa che mi è rimasta anche nel carattere, il bisogno di stare costantemente in movimento, nel bene e nel male, è iniziato a 9 anni perché, come ti dicevo, purtroppo ho avuto la sfortuna di avere l’affidamento al Comune, che significa che quando i tuoi non si mettono d’accordo, come purtroppo è stato nel mio caso, non sei affidato a nessuno dei due, tolgono la patria potestà ai tuoi e ti affidano al Comune. Quindi, morale della favola, ogni giorno ero in macchina da una casa all’altra, quindi lì, secondo me, mi è nato un po’ questo bisogno di spostarmi. Uscivo da scuola e andavo fuori Milano, poi tornavo a Milano, eccetera, eccetera, così per 3 anni, poi sono andato fuori Milano definitivamente. Però penso che lì mi sia venuta questa abitudine a stare un po’ in questo moto perpetuo, che però mi ha aiutato, perché sai, il fatto di girare sempre, di non avere quel tuo domicilio permanente, comunque ti tiene la testa in movimento e quindi devo dire che anche questa cosa potenzialmente negativa, l’ho fatta diventare positiva”.
Poi tu hai iniziato prestissimo a fare musica
“Beh sì perché è stata un’esigenza, sai, comunque lasciando gli studi molto preso, perché io comunque ho la terza media, ho sempre avuto una vena artistica molto forte, se non fosse stata musica, sarebbe stata pittura, o qualcos’ altro”.
Graffiti non li hai mai fatti?
“Disegnavo, ma non mai stato così serio con il disegno come lo sono stato con la musica. La musica, per qualche motivo che non ti so dire, mi è venuta naturale impostarla come un progetto e quindi poi quello l’ha fatta diventare un lavoro”.
Com’è nata Tieni Duro? Che resta una delle mie canzoni preferite dell’hip-hop italiano in generale
“Ah grande! Tieni Duro è nata da un beat di Bassi Maestro, stavamo lavorando insieme in studio, lui mi aveva notato alle prime serate a cui andavo a esibirmi, che erano le sue serate, quelle dello Show Off, dove tra l’altro c’era Hano lì e avevo beccato Carlito per la prima volta, o meglio questo pazzo con la maschera, a quelle serate, Bassi mi aveva notato e ho iniziato ad andare in studio da lui, sentire cose nuove, fare, lavorare, disfare. Un giorno mi fa sentire questo beat e mi ha detto ‘vai questo l’ho prodotto apposta per te, so che sgancerai la bomba’, io sono andato a casa e il giorno dopo avevo tutte e tre le strofe pronte e così è nata “Tieni Duro”.
Avevo 16 anni quando ho scritto quella canzone, figurati, ero al crocevia di tutte le decisioni da prendere. Il rap non era neanche un discorso che fosse ‘ok lo faccio come lavoro’, il punto non era se io potessi sfondare, era se il rap poteva essere qualcosa che funzionava in Italia, perché in quegli anni non c’era nessun precedente. C’erano gli Articolo, i Sottotono, ma era successo 10 anni prima, quindi quasi non facevano neanche testo, poi erano dei gruppi, delle band, era proprio un’altra cosa. Era tutto un punto di domanda, non sapevi dove sbattere la testa e l’unica cosa che potevo fare era o gettare la spugna, o tenere duro, quindi me lo dicevo da solo. E questo è stato poi un messaggio che ha potuto risuonare anche per altre persone perché è un messaggio abbastanza universale quello di tenere duro”.
Quindi all’inizio il rap è stato un salto nel vuoto
“Sìsì, era una follia. Adesso fare il rap è come fare il fashion blogger, nel senso che lo fanno tutti, è un’opportunità di lavoro, è diventato qualcosa che saresti stupido a non provare a fare. Devi provare a fare rap oggi, tutti stanno facendo soldi con il rap, perché non ci provi anche tu? Ai tempi era esattamente l’opposto, era una follia, anzi tutti quanti mi sconsigliavano di farlo, non c’è stata una persona, quando ho lasciato la scuola, che mi ha detto ‘hai qualche possibilità’, quindi figurati. Però sono contento che siano cambiate le cose, che si sia allargata un po’ la cultura”.

A quale tua canzone sei più legato?
“Tieni Duro ovviamente ha un posto speciale nel repertorio, “Senza cuore” mi piace molto. Diciamo che le canzoni dalle quali esce un pochino di più il sangue, per così dire, sono quelle che mi piacciono di più, quelle più sentite, quelle più ruvide”.
Ci sono, invece, delle scelte musicali che ti penti di aver fatto e che adesso con la consapevolezza dei tuoi 30 anni, non rifaresti?
“Ma, sai, onestamente è da un po’ che non vedo gli errori come errori, perché comunque il percorso di tutti quanti è un percorso molto personale. Tutta la vita è una scelta, è un bivio dopo un bivio dopo un bivio e ogni percorso è personale, quindi non credo veramente negli errori, anche perché con il senno di poi siamo tutti quanti manager, esperti e critici. No, non ci sono cose che ho fatto nel mio percorso delle quali mi pento. Ti posso dire se fossi andato a destra invece che a sinistra in quel momento, avrei fatto più soldi, avrei avuto la vita più facile e bla bla bla, però se doveva andare così, doveva andare così. Non è questione di essere fatalista, è questione che certe scelte le devi fare per arrivare dove sei adesso, sia che vadano bene, sia che vadano male. Chiaro, se vanno bene siamo tutti più felici, stappiamo le bottiglie, però l’esperienza è fatta da quello, l’esperienza non è fatta dalle vittorie, l’esperienza è fatta dagli errori, quindi cerca di farne il meno possibile, però comunque li devi fare, se impari una lezione, comunque è una vittoria”.
Tu adesso stai lavorando a un disco?
“Sì, sto lavorando al disco nuovo, sono anche a buon punto e dopo l’estate secondo me ci sarà anche qualche rivelazione interessante. Sono molto contento del mio nuovo disco. Sarà un disco sicuramente al passo con i tempi, non ho mai fatto musica per gli anni d’oro. Ci sono dei periodi musicali che mi piacciono più di altri, però ho sempre fatto musica adeguata all’anno che correva in qualche modo. Per descrivertelo posso dirti che se fosse droga, sarebbe più puro degli altri, è meno tagliato questo disco. Non è il massimo come analogia, lo so, però è la prima che mi è venuta in mente. E’ più puro degli altri dischi, è più ruvido, è meno tagliato, è più stimolante da registrare, non saprei come dirti, sono in un periodo creativo in cui le cose fluiscono molto bene, quindi stanno nascendo delle cose molto fighe, sono molto contento. Soprattutto non è banale. Io ho sempre cercato di fare musica non banale, però questo particolarmente, penso che farà divertire molte persone e farà girare i coglioni a molte altre persone perché è un disco che non ha mezzi termini. Molto spesso mi sono trattenuto perché comunque una parte di me cerca sempre di evitare la polemica, quindi magari scrivo in una maniera piuttosto che in altra”.
Beh ci sono stati anche dei dissing che hanno fatto la storia
“Dici quello con Cristiano?”
Sì e pensavo anche a Marracash
“Ci siamo mai veramente dissati io e Marra? Cioè, immagino, forse, grazie al mio super intuito, di non essere il suo rapper preferito, ma non ci siamo mai dissati veramente. C’è stato uno scambio di battute per la questione della linea di abbigliamento, che tra l’altro, se non sbaglio, lui adesso non ha più perché non ho più visto cose della sua, però quello è successo di fatto. Poi lui aveva avuto un’uscita anni e anni fa, proprio prima di uscire, io gli ho risposto e basta”.
Fa anche un po’ parte del vostro gioco. Secondo me, questa, è anche una parte bella del rap
“Sì è divertente specialmente per chi sta a casa, ma anche per chi lo fa, è divertente farlo. Comunque il rap è un ring, devi metterti su i guantoni e darci dentro”.
Featuring con la nuova scena come li vedi? Li farai?
“Sì, perché no. Non ci sono regole, quando un pittore si mette a fare un quadro non pensa a come glia altri hanno fatto i quadri prima di lui, fa quello che vuole, e così è il rap. Però, questo te lo posso dire, sarà più figo, più puro, più divertente da ascoltare, sarà più toccante, più stimolante da ascoltare perché io sono più stimolato. Sai, c’è un grosso problema di stimoli vivendo in Italia e facendo musica nera e per qualche motivo gli Dei della musica mi stanno ispirando molto ultimamente, quindi questa cosa sta uscendo nelle canzoni e sono molto contento di quello che sto facendo adesso”.
Tu chi ascoltavi quando ti sei avvicinato al rap?
“Sono cresciuto con i classici, Biggie, Tupac, Jay Z, Eminem, 50 Cent quando è scoppiato e si sentiva anche nei miei pezzi la sua influenza. Però, in realtà, se ti dovessi dire un’artista nello specifico, non saprei, sono fan della musica hip hop, del soul, dell’R&B, di questi mondi, di tutta la musica nera. Ecco, quella magari manca un po’ in Italia, anzi manca totalmente, e che mi ha tolto fino a un po’ di tempo fa gli stimoli, il fatto che non ci sia anima nella musica italiana, il fatto che sia tutto quanto molto melodico, tutti questi motivetti orecchiabili, però poi se vai a cercare la sostanza nei dischi che escono, è un po’ fuffosa. In molti casi, non tutti, non è una critica alla scena, che poi la gente inizia a piangere. In molti casi manca un po’ di sostanza, non nei contenuti, proprio le canzoni, come le interpreti, se ci metti un po’ il cuore oppure se sei lì a cantare i motivetti”.
Non è difficile avere sempre qualcosa da dire? Per come ti ho vissuto io ascoltandoti, ho sempre visto delle fotografie, ci sono tante parti della tua vita, tu le hai sempre messe nelle tue canzoni e i tuoi dischi li ho sempre vissuti come se fossero una traccia unica, non ho mai visto cose spezzate
“Certo, quello, il fatto di fare degli album che puoi ascoltare dall’inizio alla fine, è perché comunque è come piace a me sentire i dischi, mi piace sentire quel tipo di dischi, quelli che metti su in repeat, più che senti il singolo e poi ti viene da mandare avanti. Preferisco i dischi da mettere in repeat, quindi è per quello, è perché mi piacciono quei dischi e cerco anch’io nel mio piccolo di fare i miei così. Il fatto di avere qualcosa da dire, si tratta un po’ di tenersi ispirati, se hai una vena creativa e fai fluire questa vena in quello che scrivi, in quello che dipingi, se hai una vena artistica e creativa fai uscire le cose che provi e che ti succedono in quello che scrivi. Quindi, visto che delle cose mi succedono, alla fine ho 30 anni, sono molto giovane, sono molto curioso, vado in giro, vedo gente, faccio cose, però davvero e quindi queste cose escono. Quando farò un altro tipo di vita, probabilmente smetterò di fare rap, perché qualcosa da dire lo devi avere”.
Tu ti senti ancora “solo un uomo”?
“Beh, tutti ci sentiamo solo un uomo, o solo una donna. Il fatto di dire e di scrivere mi sento solo anche in mezzo alla gente può suonare con un’accezione negativa, in realtà non lo è. E’ semplicemente un modo di dire all’ascoltatore ‘vieni ti sto portando in quel posto, nel posto dove ti trovi quando sei per i cazzi tuoi, vieni con me, ti sto portando in quel posto lì’. Quindi siamo sempre lì, in un modo o nell’altro, magari quando ti stai divertendo tanto, non te ne accorgi, quando hai tanto da fare, però sei sempre lì, quando ti guardi allo specchio, sei sempre tu. Quella barra, di essere solo un uomo, significa alla fine ti confronti con te stesso, sei tu il tuo più grande avversario e questo non se ne va mai”.
E tu che avversario sei di te stesso?
“Pessimo, sono incredibilmente competitivo. Sono un pessimo avversario, nel senso che è molto dura confrontarmi con me stesso. Forse se mi accontentassi un pochino di più, avrei la vita più facile, però sai, è più divertente così, mettersi alla prova”.
Più che un episodio di Storie di strada, quello con Mondo Marcio è stato un viaggio vero e proprio. Un viaggio, non solo nelle zone nelle quali è cresciuto, un viaggio nella vita di Gian Marco, un viaggio nel percorso di un’artista, nella storia del rap, nell’importanza di questo genere musicale. Un viaggio nel passato, quando tutto ha avuto inizio, un viaggio nel suo vissuto e un viaggio nel futuro del suo disco che deve ancora uscire. Un viaggio, che solo un’artista con la A maiuscola poteva farmi fare, non solo ascoltando negli anni la sua musica, ma anche ascoltando le sue parole in quell’afosissimo sabato pomeriggio di fine luglio, seduta sul sedile della sua auto.

“Lasciate che ogni uomo dia la sua versione della verità e poi affidate il caso a Dio”, questa è una delle frasi che mi ha detto Mondo Marcio, che maggiormente mi hanno fatta riflettere e credo non ci sia altro da aggiungere.