Rap ItalianoArticoliMassimo Pericolo, la svolta zingara della musica italiana

Massimo Pericolo, la svolta zingara della musica italiana

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É uscito il pezzo del mese. Forse il pezzo dell’anno. E’ di un tizio che non ho mai sentito prima in vita mia e che per i primi 2/3 ascolti mi ha tenuto col fiato sospeso a metà strada tra faschifoalcazzo ed è un genio voglio pagargli le spese legali. Ha poi vinto la seconda opzione. Massimo Pericolo è la svolta zingara della musica italiana.

Mi reputo da sempre una persona discretamente snob. Cosa di cui sono andato sempre abbastanza fiero.

Mi spiego. Snob nei confronti di tutto quel carnevale della scena rap fatto di ACAB, di fumarsi i cannoni sotto il palco, di imboscarsi le bottiglie di Jack Daniels sotto la felpa e di voler fare i delinquenti a tutti i costi. Per carità, tutte cose affascinanti per un adolescente ma che, superati i 16 anni, sono i motivi che tengono la gente “normale” lontano da jam, concerti, e Circoli Arci vari. Con queste premesse potete ben capire come abbia schiacciato play discretamente prevenuto sul video di Massimo Pericolo 7 miliardi. Poi…

Vi capita mai di guardare una cosa, realizzare che vi piace e conseguentemente sentirvi un po’ in colpa perché rappresenta quanto di più distante ci possa essere da voi? Ecco, a me guardando questo video è successo.

Sì, perché l’immaginario narrativo di questo ragazzo è costituito proprio da tutti quegli elementi che ho elencato sommariamente all’inizio: il playback coi delinquenti alle spalle, i pitbull, i tossici con l’eroina, le reference a Giuseppe Uva, la galera…

In teoria dovrebbe farmi schifo, e invece mi piace. Com’è possibile? Semplice. Grazie ad un elemento che un tempo era la base fondante della carriera di un artista e che oggi è semplicemente diventata una parola inglese, spesso usata a cazzo di cane, di cui nessuno sembra ricordare il significato: REALNESS. Essere veri. Parlare di quello che si conosce.

C’è un articolo del New York Times del 1994 che parla proprio di questo, di come in quegli anni il pubblico richiedesse ai gangsta rapper un livello di autenticità quasi insostenibile. Anni in cui gli ascoltatori scrivevano ai magazine per lamentarsi se un artista che usava un sample di pistola diversa da quella menzionata nelle lyrics.

Oggi? Al massimo ci indigniamo per le feste di compleanno di Fedez.

Massimo Pericolo è Real. Mi sembra uno che prima è nato Massimo Pericolo e poi si è ritrovato a fare musica. Il percorso inverso di queste teen-idol che prima si aprono i profili instagram e poi vanno in studio a registrare skuu skuu e stronzate annesse. Per quello non mi dà fastidio, perché il suo racconto non è preso dal racconto del cugino di un amico che una volta ha preso una multa per eccesso di velocità. Perché il carcere se l’è fatto lui, non si è guardato Le ali della libertà. Perché i tossici nel video l’eroina la stanno fumando sul serio. Perché dalla tecnica con cui scalcia nell’aria su zero calcio, solo calci, si capisce che i calci li sa tirare per davvero. Perché il pensiero che ci siano ragazzi che crescono in questo modo nelle periferie italiane ti fa sperare che sia tutto una messa in scena.

Perché quel voglio solo una vita decente, dopo due minuti e mezzi di barre crude e bestemmie, è quel pizzico di dolcezza che mi fa tifare per lui.

Dategli 7 miliardi.

Diego Carluccio
Diego Carluccio
Diego Carluccio nasce, in tutta la sua presunzione, il 26 ottobre del 1990. Ora di pranzo. Essendo la modestia il marchio di fabbrica della casa, pare abbia dato suggerimenti e consigli su come affrontare il parto allo stesso medico primario. Volendo affossare l’insopportabile luogo comune secondo il quale “dai licei esce la futura classe dirigente”, si iscrive al liceo classico e, sebbene provi a farsi espellere e/o bocciare ripetutamente, consegue l’impareggiabile successo di diplomarsi in 5 anni con un sensazionale 60/100. Da segnalarsi la tesina di laurea: un mix di Ramstein, Marilyn Manson e Neonazismo. Iscrittosi per sbaglio alla facoltà di legge alla statale di Milano, rimane ripetutamente intrappolato all’interno di quel subdolo e tentatore tragitto che connette la fermata “Missori” e l’aula di Diritto Privato. Ritiratosi dai corsi a metà anno, dedica il resto della stagione 2009-2010 al fancazzismo professionistico. Desideroso di ottenere una laurea però, scegli la carriera universitaria che ha il maggior numero di punti di contatto con la disoccupazione perenne: nel 2011 si iscrive al Dams. Laureatosi con il voto di 99/110, in onore dei kg e del numero di maglia dell’idolo di infanzia Antonio Cassano, conclude la propria esperienza universitaria con un tesi dedicata a “Fabri Fibra” e al rap italiano. Prima tesina nazionale a contenere un numero di parolacce superiore a quello dei segni di punteggiatura. Come ogni buon “critico” giornalista che si rispetti, non manca, tra le esperienze del giovane Carluccio, un fallimento artistico. Firma nel 2015 un contratto discografico con una label minore sotto lo pseudonimo di D-EGO MANIA. Il disco “Non è un paese per rapper” riesce nell’ardua impresa di vendere meno copie dell’esordio discografico dei Gazosa. Ora vive a Londra, frequenta un Master in Digital Journalism e lavora nell’organizzazione eventi per uno degli hotel più lussuosi della capitale britannica, ma non preoccupatevi: la sua vera passione è dirvi quanto fate schifo. ALTRE COLLABORAZIONI: Rolling Stone, Noisey, Il Milanese Imbruttito

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