Negli ultimi giorni avrete sentito parlare di Shame per il fatto che ha rappato in freestyle per 35 ore di seguito per entrare nel Guinness dei Primati.
Ebbene, in questa intervista vogliamo approfondire il discorso con il 28enne rapper cuneese perchè è uscito anche il suo nuovo album dal titolo “Chi ci ucciderà?” e quindi vogliamo andare oltre alla sue strabilianti abilità nel freestyle, che sicuramente sono una componente importantissima del suo percorso, ma non l’unica.
Ciao Shame, ci sembra doveroso iniziare dalla tua impresa… 35 ore di freestyle consecutive! Come hai fatto??
Beh per quanto riguarda gli argomenti di cui parlare mi venivano proposti durante la live su Twitch, sul mio canale infatti ho trasmesso tutto l’evento. Alcune volte erano argomenti più lunghi tipo “descrivi quello che sta succedendo intorno a te“. Io per aiutarmi mi ero preparato dei fogli (non delle rime) con dei macro-argomenti che mi riguardano personalmente e dei quali sapevo di poter andare avanti a parlare per ore. Ad esempio i dissing a Poste Italiane, a Trenitalia… il fatto che ho iniziato a suonare il pianoforte a 5 anni… Insomma cose che mi aiutassero ad andare avanti. Cose dalle più serie (come filosofia, che studio) alle più stupide (come il wrestling).
L’unico momento di sconforto è stato quando circa a 29 ore di freestyle ho avuto un attacco di panico perchè stavo proprio perdendo la voce e mi sono dovuto fermare. Fortunatamente avevo accumulato qualche minuto di pausa (ne avevo a disposizione 5 per ogni ora, ma erano cumulabili) e quindi mi sono potuto fermare 15 minuti nei quali mi sono sdraiato, con coperte e giubbotti addosso. Temevo di non riuscire a ricominciare ma poi mi sono bevuto un succo di frutta, qualche spruzzata di propoli, un rosso d’uovo bevuto al goccio e miracolosamente sono tornato al microfono ed è tornata anche la voce. Ho potuto così continuare e arrivare fino al record…
Una cosa carina invece è stata che ho fatto in diretta, durante l’evento, il test anti-doping per sputtanare tutti gli hater che affermavano che per tirare le 35 ore avessi fatto uso di cocaina.
Quindi ancora complimenti per questa tua (un pò folle) impresa… Parlaci invece del tuo album, “Chi ci ucciderà?” uscito il 26 novembre.
Con questo album il mio intento era quello di inserire un pò tutto le sfaccettature del rap. Ho sempre odiato quei lavori che sono monostile, monoflow, monocontenuti… insomma un disco che ti annoia dopo 4 tracce. Abbiamo cercato quindi di fare un disco molto vario passando per ogni sottogenere del rap. Anche per quanto riguarda i beat si passa dal più “classic” a quello magari più “trap”, da quello più “funk” a quello magari più vicino al rock, così da non annoiare l’ascoltatore. Stessa cosa per quanto riguarda i testi, quello che è il mio “docet” è: massimo dell’incastro per massimo del contenuto. Il risultato che io ricerco è mantenere una metrica di alta qualità ma senza perdere il filo conduttore, la trama del pezzo.
Anche in questo caso quindi si passa da pezzi più leggeri come “Ogni weekend” o “Freestlife” a pezzi più seri, con un messaggio forte come “Chi ci ucciderà?” o “Controcorrente“.
Come è iniziata la collaborazione con Bonnot?
Il mio rapporto con lui è iniziato in modo del tutto genuino. Io lo seguivo già da tempo e lo apprezzavo per i suoi lavori con gli Assalti Frontali, Caparezza ecc…
Quando gli ho scritto e ho avuto occasione di incontrarlo di persona in occasione di una mia apertura a un concerto degli Assalti Frontali, è stato subito feeling personale e musicale. Così siamo diventati amici e la nostra collaborazione è scaturita appunto nell’album “Chi ci ucciderà” che è quasi interamente prodotto da lui.
Quali sono gli artisti che più ti hanno ispirato?
Parlando in linea molto generale ti posso dire tutta quella che può essere considerata la old shool americana… Impossibile fare solo un nome, Method Man, Wu Tang Clan giusto per capirci. Quel mondo è stato molto importante per la mia formazione.
In Italia un artista che ho apprezzato tantissimo e che stimo è Primo (R.I.P.). Poi c’è Lord Madness (che è anche presente nei featuring dell’album) che mi piace perchè in pochi come lui sanno, riagganciandoci al discorso di prima, scrivere testi con una tecnica impressionante ma senza tralasciare i contenuti.
Comunque ascolto un po’ di tutto, anche la trap perché trovo stupido non ascoltare un genere musicale solo per partito preso. Anzi io trovo che la trap abbia portato delle sonorità interessanti ed innovative, il punto dolente secondo me sono i testi… infatti nel mio album in un pezzo dico: “il problema non è la trap, ma chi la fa”.
Il freestyle rimane comunque una componente importante per il tuo percorso…
Certo che si, a tal punto che ho iniziato una serie di laboratori nelle scuole. La cosa è iniziata per caso quando un istituto superiore della mia città mi coinvolse per tenere un assemblea sul rap. Siccome a me piacque molto e condivisi l’evento sui social, iniziai a ricevere tantissime richieste di ragazzi che volevano che facessi la stessa cosa nella loro scuola.
Da lì il passo fu breve, infatti intorno al 2017/2018 ho girato veramente tanti istituti per divulgare l’arte del rap e soprattutto del freestyle. Addirittura sono riuscito ad arrivare ad un paio di istituti musicale dove ho tenuto dei corsi di rap e freestyle. E’ stato molto bello e significativo portare questo genere in un luogo dove si insegna a suonare strumenti “convenzionali” come possono essere il pianoforte o la chitarra. Ho avuto così l’occasione di dare una sorta di “dignità” ad un genere che da molti è visto ancora come semplice rumore.
Un altra curiosità è che sono stato contattato da due case editrici per inserire i miei testi in due libri, per questo tipo di progetto mi sono cimentato anche in una scrittura più vicina alla “slam poetry”.