E’ reduce dalla pubblicazione della sua ultima fatica “Scrivo Ancora 3“, che conferma il momento di grazia di Drimer dopo la sua partecipazione al progetto “This is Micons” che racchiude i migliori freestylers italiani.
Per saperne di più abbiamo scambiato quattro chiacchiere con lui riguardo questo lavoro, sulla presenza dei featuring, la sua vita a Milano e anche i progetti futuri.
”Scrivo ancora”, devi essere molto affezionato a queste due parole visto che ci hai fatto una trilogia. Perché questo titolo e perché la trilogia?
Bella raga, e grazie innanzitutto di avermi voluto intervistare.
Scrivo e Ancora sono due parole che, anche un pò per gioco, sono ormai arrivate a
definire la mia figura nel rap. Da 10 anni a questa parte, una volta iniziato, la scrittura è stata infatti l’unica vera costante della mia vita: negli anni sono stato dunque molto produttivo, e Scrivo Ancora, che utilizzai come titolo per il primo capitolo (composto da ben 24 brani usciti in freedownload), è diventato un vero e proprio slogan. Dopo di che, la mia intenzione è sempre stata quella di portare avanti la mia personale saga di mixtape, alla QVC di Gemitaiz o Fastlife di Gué, per intenderci. Quindi è una trilogia che spero abbia tanti capitoli ancora!
A differenza dell’ultimo capitolo questa volta hai deciso di inserire diversi featuring, cosa è cambiato nell’approccio tra le due edizioni?
Scrivo Ancora 2 è stato un progetto terapeutico: venivo da anni molto complicati sia a livello musicale che personale, segnati dal COVID, la fine dell’esperienza nella precedente etichetta e il termine di un’importante relazione. Avevo dunque bisogno di sfogarmi e raccontarmi, e il mio mixtape mi ha offerto l’occasione di farlo senza troppi pensieri. Per questo motivo, il secondo capitolo non ha praticamente previsto featuring. Nel caso di Scrivo Ancora 3, invece, l’approccio è stato esattamente l’opposto: mi sono trovato a lavorarci in un momento molto positivo, e la volontà era quella di recuperare l’anima del mixtape realizzando tante collaborazioni e sperimentando maggiormente.
Prendendo spunto dallo skit in cui si sente la voce di tua madre volevo chiederti quanto ti manca la tua famiglia e se (allacciandoci a quel brutto episodio) hai qualche remora sul tuo trasferimento a Milano…
Sarò sincero: al momento, l’unica remora che ho riguardo al mio trasferimento a Milano è al massimo di non esserci venuto prima! Ovviamente la mia famiglia mi manca, e spesso qui mi sento un po’ solo, ma quando torno a trovarla in Trentino, purtroppo, dopo pochi giorni sento già la mancanza della grande città, delle sue opportunità e della sua spinta – spesso dolorosa – a mettersi continuamente in gioco e al lavoro. Voglio bene ai miei genitori, i quali nonostante non abbiano ancora capito molto di ciò che faccio non si sono mai messi eccessivamente di traverso: lo skit di mia madre in Nati per questo è stato un modo simpatico di omaggiarli.
Sempre nel 2024 sei stato protagonista anche dell’album uscito col progetto “This is Micons”, come riesci a coadiuvare l’attività di freestyler e nello stesso tempo scrivere canzoni per un album come “Scrivo ancora 3”?
Con grande impegno e fatica, c’è poco da dire. Il freestyle, per chi compete, è diventato ormai quasi uno sport: ogni mese c’è una gara diversa, e per quanto tu possa esserti messo in mostra in passato devi continuare a farlo anche ora per rimanere rilevante, specie agli occhi delle nuove generazioni. Farlo non è poi facile, perché il livello continua ad alzarsi e il numero di giovani freestylers capaci aumenta di giorno in giorno. Anche per questo motivo, essere ancora al top della scena dopo 15 anni, nonché al centro di progetti come FEA, il Muretto di Milano e lo stesso Micons che hai citato, mi inorgoglisce.
Allo stesso tempo, la musica rimane da sempre una priorità, ma soprattutto un’esigenza: è questa necessità di scrivere (ancora, appunto) che mi permette di trovare la forza di lavorare sempre a un nuovo brano, anche dopo l’ennesimo evento di freestyle.
Secondo te per un MC deve arrivare il momento di smettere di fare freestyle?
Dipende da che cosa s’intenda e da quale sarà lo sviluppo della disciplina. Il freestyle, inteso come forma d’arte, non si smette mai di fare una volta che è parte di te: il ritorno al Muretto di Milano di artisti come Lazza, Emis, Fred de Palma o gli stessi Ensi e Nerone lo dimostra. Se per smettere di fare freestyle s’intende invece smettere di competere, quello dipende appunto dallo stato di salute della disciplina: se gli eventi diventeranno sempre più numerosi e grandi, creando delle vere e proprie “fasce” di freestylers e premiando ovviamente quelli più forti, non ci sarà motivo di farlo. In caso contrario, purtroppo, gli stimoli verrebbero meno e smettere sarebbe la naturale conseguenza.
Mi ha colpito molto il pezzo “Hall of fame” con Inoki, un vero e proprio manifesto hip hop. Come è nato questo pezzo e quanto ti senti legato alla cultura hip hop?
Hall of Fame nasce dopo la pubblicazione di Noi Non Vi Vogliamo 3. Inoki, uno dei pochi artisti al di fuori di me che si sono esposti apertamente riguardo la questione palestinese,
apprezzò il brano e iniziammo a sentirci. Qualche tempo dopo, dovendoci incontrare per altri motivi, decidemmo di farlo in studio. A quel punto, colsi un po’ la palla al balzo e gli proposi la collaborazione. Il resto è storia: entrato in auto, Inoki ha scritto la sua strofa nel tragitto casa – studio, per poi registrarla al primo take. Un vero fenomeno, disponibilissimo poi a ultimare il pezzo lavorando di giustezza al ritornello, alla terza strofa condivisa e all’outro. Sono molto contento del risultato, anche perché come dici tu è un vero e proprio manifesto che ben rappresenta il mio amore e legame con questa cultura.
Essa è parte di me da quando sono piccolo, ha definito molti dei miei tratti personali – al di là dell’evoluzione musicale – e così sarà per sempre.
Nell’album spazi tanto tra i diversi generi, rimanendo sempre legato ovviamente al rap ma strizzando l’occhio ad altre sonorità… come è avvenuta questa evoluzione, questo percorso? E quali saranno secondo te i prossimi passi?
Mi è sempre piaciuto sperimentare, e nel corso della mia carriera ho sempre realizzato brani un po’ di tutti i tipi, spaziando tra i vari sottogeneri del rap e arrivando anche a rappare su generi propriamente diversi. A dire la verità, l’ho sempre considerata sia croce che delizia del mio percorso: da una parte mi ha aiutato a mettermi in mostra, dall’altra non ha mai concesso a chi mi ascolta di capirmi al massimo. Per questo motivo, a partire dalle prossime uscite, vorrei cercare di trovare un suono che mi contraddistingua. In questo disco se ne possono sentire degli sprazzi. Tracce come Genere Real, Certo Ma e Olimpo sono dei buoni esempi di ciò che ho in testa: brani che abbiano il classico gusto Hip Hop, grazie soprattutto all’utilizzo dei campioni, ma che allo stesso tempo risultino
attuali in quanto a drum e rappata. Certamente ci sarà ancora spazio per altra musica fuori dagli schemi, ma vorrei trovare il contenitore adatto anche per essa (magari proprio i futuri Scrivo Ancora!).
Dopo l’esplosione della trap pare che adesso si stia tornando ad apprezzare il rap più “puro”. Cosa pensi di come è avvenuto questo passaggio e come credi che andrà avanti nel tempo? Per quanto potremo ancora vedere il rap italiano in cima alle classifiche di vendita?
La trap è stata fondamentale per il rap in Italia, perché ha preso un genere che fino ad allora era riuscito a spiccare solo tramite alcuni singoli (Fabri Fibra, Marracash, i Club Dogo su tutti) e l’ha reso popolare a livello nazionale. D’altra parte, per le sue caratteristiche, non si è trattato certo di un sottogenere che abbia permesso al grande pubblico di conoscere la grande storia e le tante sfaccettature che caratterizzano la musica rap e la cultura Hip Hop che gli sta dietro. Per questo motivo, ho sempre sostenuto che fosse necessario “tenere duro” e non scordare mai le radici, per far sì che la moda diventasse un giorno parte della cultura italiana stessa, candidandosi così a
rimanere e a non essere di solo passaggio. Quel risultato è ancora lungi dall’essere raggiunto, ma l’apprezzamento anche di un rap più classico da parte del pubblico lascia ben sperare. Se riusciremo a ritagliare uno spazio per tutto, dalla trap al rap più classico appunto, ce la faremo. E io ambisco ad essere qui esattamente per questo.