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Fabri Fibra ti pagherebbe l’affitto?

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C’è un film talmente bello che dubito fortemente qualcuno di voi lo abbia visto: “Bronx”, un classico con Robert DeNiro e Chazz Palmintieri. Storie di Mafia e di valori umani nello storico quartiere newyorchese degli anni ’60.

Il film, di struggente bellezza e con più di una scena che meriterebbe di finire diretta negli highlights, ha al suo interno un breve dialogo che andrebbe fatto vedere a qualsiasi “fan” di questo mondo. 

Per farla breve, il boss (Chazz Palmintieri) finisce per affezionarsi a un bambino del quartiere, il figlio di Vincenzo (Robert DeNiro), ed è proprio durante un conversazione sul baseball col ragazzino che nasce qualcosa di significativo:

  • Devi essere piuttosto incazzato visto che gli Yankees hanno perso…
  • Odio Bill Mazeroski, ha fatto piangere Mickey Mantle
  • Micky Mantle? E’ questo quello che ti fa incazzare? Micky Mantle fa 100.000$ l’anno, quanto guadagna tuo padre?
  • Non lo so…
  • No? Beh la prossima volta che gli mancano i soldi per l’affitto prova a chiederli a Micky. A lui non frega niente di te, perchè dovresti dispiacerti per lui? A nessuno frega niente di nessuno

I fan sono così, si stracciano le vesti senza mai rendersi conto di essere i numerini scemi della catena di montaggio.

Ogni santa volta che mi permetto di criticare Fabri Fibra o uno dei sacramenti di sta poverata chiamata rap italiano, arrivano alla velocità della luce questa sottospecie di jihadisti che non ascoltano, non si fanno domande e che ti rispondono a cazzo di cane partendo dal presupposto che siamo tutti dei poveretti in attesa che qualcuno laureato “all’università della strada” ci insegni a vivere. 

Parafrasando il boss, ma Fabri Fibra o chi per lui, vi paga l’affitto? Vi invita al compleanno? Vi porta la suocera a fare la spesa?

Secondo voi con questo integralismo che manco l’Isis, state facendo il bene dell’artista?

Non sarebbe invece il caso di far sapere all’artista che non è che siamo qui pronti a sorbirci ogni stronzata? Se il livello dell’utenza si alza, necessariamente anche i rapper sarebbero costretti ad adattarsi perchè, ci crediate o meno, questi fanno di tutto pur di vendere dischi e non dover andare a lavorare. Se da domani l’utenza sbattesse la testa e volesse vedere tutti i rapper italiani vestiti da donna, coi capelli colorati e con brani privi di rime…ah ok. Sbagliato esempio. 

Ovvio, non mi riferisco alle persone normali. Essere appassionati di un artista è una cosa bella e giusta, sempre che questo non ti porti però al completo annientamento delle tue funzioni cognitive e della tua obiettività. Altrimenti sei una groupie, non un fan. 

A pensarci bene questo discorso non riguarda neppure esclusivamente la musica, riguarda la politica, il cinema, la letteratura. Una massa di analfabeti funzionali che si vomita addosso a vicenda presunte verità. A un “Fabbbbri Fibbraaa il più grande ti tutti!223!!!2£”, risponderà un sentito “ma che cazzo dici buonista demmerda te li prendi te sti negri”!£!£!”£$£”, dopo che qualcun altro aveva dato del “sessista, fascista, nazista, omofobo” a chiunque si fosse semplicemente permesso di offrire una posizione diversa. 

Oh, comunque provateci a chiedere i soldi a Guè Pequeno per l’affitto, magari mi sbaglio io.

Diego Carluccio
Diego Carluccio
Diego Carluccio nasce, in tutta la sua presunzione, il 26 ottobre del 1990. Ora di pranzo. Essendo la modestia il marchio di fabbrica della casa, pare abbia dato suggerimenti e consigli su come affrontare il parto allo stesso medico primario. Volendo affossare l’insopportabile luogo comune secondo il quale “dai licei esce la futura classe dirigente”, si iscrive al liceo classico e, sebbene provi a farsi espellere e/o bocciare ripetutamente, consegue l’impareggiabile successo di diplomarsi in 5 anni con un sensazionale 60/100. Da segnalarsi la tesina di laurea: un mix di Ramstein, Marilyn Manson e Neonazismo. Iscrittosi per sbaglio alla facoltà di legge alla statale di Milano, rimane ripetutamente intrappolato all’interno di quel subdolo e tentatore tragitto che connette la fermata “Missori” e l’aula di Diritto Privato. Ritiratosi dai corsi a metà anno, dedica il resto della stagione 2009-2010 al fancazzismo professionistico. Desideroso di ottenere una laurea però, scegli la carriera universitaria che ha il maggior numero di punti di contatto con la disoccupazione perenne: nel 2011 si iscrive al Dams. Laureatosi con il voto di 99/110, in onore dei kg e del numero di maglia dell’idolo di infanzia Antonio Cassano, conclude la propria esperienza universitaria con un tesi dedicata a “Fabri Fibra” e al rap italiano. Prima tesina nazionale a contenere un numero di parolacce superiore a quello dei segni di punteggiatura. Come ogni buon “critico” giornalista che si rispetti, non manca, tra le esperienze del giovane Carluccio, un fallimento artistico. Firma nel 2015 un contratto discografico con una label minore sotto lo pseudonimo di D-EGO MANIA. Il disco “Non è un paese per rapper” riesce nell’ardua impresa di vendere meno copie dell’esordio discografico dei Gazosa. Ora vive a Londra, frequenta un Master in Digital Journalism e lavora nell’organizzazione eventi per uno degli hotel più lussuosi della capitale britannica, ma non preoccupatevi: la sua vera passione è dirvi quanto fate schifo. ALTRE COLLABORAZIONI: Rolling Stone, Noisey, Il Milanese Imbruttito

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