Claver Gold: l’intervista al rapper dal sapore di autunno. Melograno
Cari amici, cari lettori. Stamattina mi sono svegliato, dopo diverse settimane passate con l’ansia da esami universitari, finalmente libero e leggero.
La fioca luce mattutina entrava dalla finestra e, nonostante il cielo torbido di Milano, mi è entrata in corpo una strana gioia appagante; un senso di malinconia che si potrebbe meglio tradurre con Saudade, nostalgia leggera di chi guarda ai ricordi del passato con un sorriso stampato sulle labbra.
Preso da questo spirito ho deciso di chiudermi in camera ad ascoltare uno dei dischi che nel 2015 mi ha colpito di più e a cui sono rimasto più affezionato: Melograno, di Claver Gold.
L’ho ascoltato tutto, e poi l’ho risentito di nuovo, e poi di nuovo ancora, finché non hanno iniziato a venire a galla un po’ di domande, di curiosità, di vuoti nello stomaco che il mio appetito doveva per forza colmare.
Così, dopo pranzo, l’ho chiamato e ci siamo fatti due chiacchiere: mi ha raccontato del disco, di Bolo, di Ascoli, di calligrafia e di tante altre cose.
Da dove arriva il titolo? Perchè il melograno è diventato Melograno?
Ero a Bologna con i due ragazzi che hanno prodotto i beat, i Kintsugi: mentre uno dei due, Davide, suonava la chitarra e io facevo dei mini bridge sui suoi accordi, l’altro ragazzo stava pulendo dei Melograni. E allora da lì io ho iniziato a canticchiare robe sui melograni e l’idea è nata così, per caso; poi ci siamo informati sul significato che ha nelle varie culture e abbiamo scoperto che rappresenta la fertilità femminile, ma anche l’aridità concettuale per via del fatto che nasce solo in certi tipi di territori desertici.
Da qui è nato il concept che abbiamo sviluppato attorno a questi due contenuti principali.
Ma melograno è un concept album?
C’è effettivamente un filo narratore, ma varia; io non lo chiamerei proprio un concept album
Ho scelto, poi, arbitrariamente in base ai miei gusti personali, due delle canzoni che mi sono piaciute di più sperando che potessi commentarmele: Carmela e Raccoglievo le more.
Io partirei da Carmela che è uno dei testi a cui sono più legato nel disco; uno di quelli in cui, anche se è molto ” complesso ” come significato, mi rispecchio di più. Carmela è nata da un vecchio campione di un cantante napoletano che si chiama Sergio Bruni; avevamo l’idea di raccontare la storia di questa ragazza, di quest’amore per cui… Davvero, non riesco a trovare una parola che racchiuda la canzone o la storia di questa Carmela.
Carmela è il nome inventato di una ragazza che realmente esiste, ma per non mettere il nome vero abbiamo deciso di lasciare il nome del campione.
Nella prima strofa parlo di me, mentre nella seconda strofa c’è tutto il racconto su di lei, sulle sue amiche, sulla sua vita.
Raccoglievo le more invece? È un titolo curioso, parla della tua infanzia?
Raccoglievo le more è uno dei primi testi a cui ho lavorato. Mentre sempre Davide suonava la chitarra e faceva questi accordi che risuonavano “ton ton tan ton” io da lì ho iniziato a canticchiare e la prima cosa che è uscita è “raccoglievo le more”.
Quando ero un ragazzo e vivevo ancora ad Ascoli, da noi, d’estate, si fa il bagno nel fiume, e a settembre, quando finisce l’estate, si andava al fiume dove c’erano questi rovi di more che crescevano lì attorno. Era il periodo in cui si aspettava il ritorno dell’anno scolastico dopo tutte le esperienze estive, era come se si ripartisse di nuovo con nuove nozioni e nuovi racconti.
Volevo chiederti anche dell’Outro del disco: è Calvino che parla del libro Le città invisibili? Come si collegano Calvino e Melograno? Qual’è il ponte?
Un vero nesso tra fecondità e città invisibili non c’è; però il ponte è sulle modalità in cui è stato costruito il disco. A Bologna, vivevo un certo tipo di vita in un certo tipo di città; ma quando sono tornato a San Benedetto, vicino ad Ascoli, ho iniziato a rivivere e riapprezzare dei fattori più genuini della vita, come uscire il mattino, andare a passeggio con il cane al mare e tornare felice; molto più felice di quando magari uscivo a Bologna e, per esempio, andavo a vedere i Mobb Deep. Quando poi sono tornato giù uno dei libri che ho iniziato a leggere è stato Le città invisibili, che non è per niente un libro pesante e dove ci sono questi dialoghi tra l’Imperatore e Marco Polo che racconta di queste città; in molti di questi racconti ho trovato molti pezzettini della mia vita di Bologna, ma in altri ho trovato pezzi della mia via attuale, e mi sono ispirato un po’ a questo tipo di scrittura rapida, facilmente comprensibile ma anche un po’ arzigogolata.
Parlando di Bologna: hai vissuto lì per 6 anni, come ha cambiato la tua concezione di fare musica?
Quando vai via da una piccola provincia che fa si e no 60.000 abitanti come Ascoli dove la mentalità è chiusa e le possibilità sono ovviamente ridotte al minimo, ti rendi conto di quanto altro c’è al di fuori, perché altrimenti, se non giri e non vedi altri posti, non te ne renderai mai conto. A Bologna ho conosciuto musicisti, rapper, writer, calligrafi che ovviamente mi hanno dato qualche cosa di più e mi hanno fatto intraprendere questo percorso musicale, portandomi al di fuori dei canoni del rap di “droga e strada”, del gangsta rap che facevo prima, perché stando al parchetto con gli amici si fa quello, e racconti di quello, non puoi farne a meno.
Poi a Bologna si sono allargati gli orizzonti.
So, appunto, che tu sei anche un calligrafo: anche questo ha influenzato la tua musica?
Sono sempre stato un grande appassionato di Writing, da ragazzino le prime cose che ho fatto nella cultura Hip Hop erano dipinti, bombing e robe così. Poi quando ho iniziato a rappare la cosa è andata un po’ scemando finché non ho provato la calligrafia che mi ha un po’ riportato ad applicarmi con fogli, penne, muri e quant’altro. È come se fosse uno scaccia pensieri perchè ti chiudi lì e non stai a pensare a quello che ci sta fuori, pensi soltanto a scrivere ed è una bella esperienza.
È un po’ come quando fai musica
Si anche se quando fai musica, o almeno io, tiro fuori tutto quello che ho dentro ed il momento in cui la faccio per me è un po’ sofferente, poi quand’è finita è soddisfacente. Invece la calligrafia è sempre soddisfacente, anche nell’atto vero e proprio di farla. Io a scrivere, diciamo che soffro un po’, poi quando ho finito mi sento libero e appagato.
Ma quando scrivi i testi usi calligrafie strane?
No no, anzi, ho anche perso il vizio dei fogli e dei quaderni, ormai sono passato al digitale dall’ultimo disco, altrimenti impazzivo andando in studio con 5.000 fogli tutti disordinati. Farmi ordine mentale mi aiuta, per certi versi il digitale non ha paragoni.
Ti chiedo l’ultima cosa sul disco: Nazario, è una canzone che parla di fuga, di voglia di libertà e di successo, ma perché una canzone sul calcio? Sei tifoso?
Si io sono tifoso, dell’Inter, da sempre…
AHIA, qui non ci siamo…
Sei Milanista?
No, gobbo, della Juve
Peggio ancora! Non c’è qualcun altro che mi puoi passare per continuare l’intervista?
(Risate)
Sono stato sempre e solo tifoso dell’Inter fin da quando ero piccolo e quando venne Ronaldo per me cambiò il modo di vedere il calcio. In campo c’era una magia straordinaria che forse solo Zidane riusciva a ricreare; a vederli giocare mi emozionavo e da piccolo era il mio idolo.
Volevo diventare come lui in un certo senso, in camera avevo poster, maglia e tutto quanto.
In una casa di Juventini, tra l’altro, e non si sa come sia uscito fuori interista, mia sorella aveva la gigantografia di Del Piero ed io giravo per casa con la maglia di Ronaldo.
Sulla storia di Ronaldo c’è questo paragone tra le nostre vite, anche se il testo non lo lascia intendere. Il fatto è che lui viene da un quartiere povero, ma non poverissimo, come me che non vengo dal ghetto dove si sparano ma nemmeno dal centro di Milano. E poi la ricerca dell’essere grandi affrontando i vari problemi che la vita ti dà e non solo a livello musicale ma, soprattutto a livello personale. Una volta che si superano i propri problemi secondo me si diventa più forti e più consapevoli delle proprie capacità, da qui il paragone tra le due vite.
Poi i Kintsugi sono tutti e due milanisti e dicevamo sempre per ridere “facciamo un pezzo su Ronaldo”, e io gliel’ho fatto davvero, leggendo e documentandomi con due biografie e migliaia di pagine sulla storia di Ronaldo.
Così alla fine abbiamo trovato quella chitarrina portoghese-brasiliana e ci siamo detti, proviamo, se viene viene.
A proposito di Kintsugi, il rischio di album come Melograno, con una scrittura così profonda, è sempre che le produzioni vengano messe in ombra. Devo dire che invece i ragazzi sono stati bravissimi e hanno fatto un lavoro eccellente con produzioni davvero azzeccate. Come vi siete incontrati?
La nostra collaborazione è nata una sera in cui suonava Dj Lugi a Bologna, ci siamo conosciuti e dopo aver bevuto tipo 30 Moretti abbiamo iniziato a parlare di calcio e pornostar; una cosa molto strana.
Da lì abbiamo iniziato a beccarci anche se loro suonavano delle robe molto più particolari, sull’elettronica.
Poi quello che c’ha unito è stato il disco di Bonobo, Black Sands, un disco fatto di strumentali che hanno il bum cha ma non sono prettamente Hip Hop. Questa roba piaceva a tutti e ci siamo detti ‘perchè non proviamo a fare una roba tipo questa però un po’ più rap?’ Quello è stato un po’ il concetto che ci ha legato, quel tipo di sonorità calde e calme, un po’ cullanti.
Senti, Melograno è un disco che ha avuto successo. Al di là del lato commerciale ho visto che è stato apprezzatissimo dalla critica e dal pubblico, hai spaccato! Come ti stai vivendo questo momento di attenzioni che ti sono cadute addosso di colpo? Perchè Mr. Nessuno era, invece, passato più inosservato?
Mr. Nessuno era passato forse più inosservato perché era tipo il primo, dietro c’erano meno attenzioni in confronto a questo, anche se è stato un grande trampolino come disco; ha creato le aspettative che hanno permesso di poter fare un altro disco in questo modo.
Melograno invece è andato bene, io sono sempre contento quando leggo le recensione o quando vedo la gente che mi scrive i complimenti.
Io poi sono uno che risponde sempre ai commenti su Facebook o ai messaggi, una roba un po’ alla Gianni Morandi “ti abbraccio, grazie grande!”
Poi è bello che si crei un bel rapporto tra me ed i ragazzi che mi ascoltano, anche perché penso a tutte le volte in cui ero più giovane e volevo parlare qualcuno di più forte e non mi cagava mai, allora forse ora c’ho sta roba che adesso rispondo sempre a tutti, anche a quelli che mi mandano un pezzo, io cerco di sentirli tutti e rispondere “guarda secondo me così cosà”
C’è qualcuno a cui ti ispiri particolarmente, che ha influenzato la tua musica?
Nel panorama Hip Hop sono stato molto legato a Lord Bean, anche perchè aveva sta cosa del writing e della calligrafia, quindi mi hanno sempre affascinato le sue robe, sia la prima cassettina che poi Lingua Ferita ecc.
Poi sono un super fan di Fibra da sempre nonostante sia cambiato parecchio ho comunque un bel ricordi di Sindrome di fine millenio, Turbe Giovanili, Mr Simpatia: con quelle robe ci sono cresciuto e ho questo legame particolare; può fare quello che vuole che a me va bene!
Fuori dal rap mi piace molto Capossela, come personaggio e come ambito di scrittura, così, un po’ sulle sue, sono molto legato al suo modo di scrivere e prendo spunto dal suo modo di raccontare.
Ci salutiamo con le domandina classiche di Hano.
Angolo della puttHana, prostituisci il tuo disco:
Se regalate il mio disco ad una ragazza sicuro ve la da, perché sarà triste e vorrà essere consolata!
Angolo Marzulliano, fatti una domanda e datti una risposta:
D: Claver dove suoni ai prossimi live?
R: Venerdì 19 Febbraio – Vicenza – Mesa
Sabato 20 Febbraio – Milano – CSOA Cantiere
Sabato 27 febbraio – Comunanza (AP) – Movimento Giovanile
Sabato 12 Marzo – Rimini – Casa Madiba
Sabato 19 Marzo – Cantù – Shabba
Sabato 2 Aprile – Mantova – Arci Tom
Sabato 14 Maggio – Padova – CSOA Pedro