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Segni Particolari: Disagio

Disagio Clothing, la nuova collezione e una storia d'amore di spalle

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Ci sono brand che non sono brand. Ci sono brand che non sono brand che diventano divisa perfetta per affrontare un mondo che, nel bene o nel male, non ci fà sentire a nostro agio. DISAGIO CLOTHING è traduzione stilistica di quel buco nello stomaco che tutti noi, disagiati, affrontiamo nel quotidiano.

Disagio è l’ hangover del weekend, il lunedì mattina, il –per me sei come un fratello– quando tu la ami dalla terza elementare, il gruppo Whatsapp a cui non hai mai chiesto di essere aggiunto“

Ne ho parlato con Paolo “Pool” Palmeri, la mente e gli occhiali dietro al “DISAGIO”. Dgrandi nostalgici di “chatrulette” ci siamo sentiti su Skype. Io dal Regno di nonna Elisabetta (che nel frattempo si è offerta come testimonial per la prossima collezione britannica DI-ANA Clothing) e lui da Torino. Mi sono fatto raccontare tutto quello che c’è da sapere sulla nuova collezione che verrà presentata domenica allo store ufficiale di Torino. Ospiti d’eccezione Ensi e Vegas Jones per dimostrare che le magliette stanno bene sia in XL che in XS.

Per chi non ti conosce: cosa fai nella vita? Io oltre a Disagio ti conosco anche per il tuo lavoro come grafico.

La mia vita si suddivide a metà tra Disagio e Trueflava (creato dallo stesso Pool con altri due collaboratori. E’ uno studio di Torino che si occupa di progettare grafiche, website, applicazioni ecc.). Con Trueflava abbiamo avuto il piacere di lavorare alla creazione dei siti e dei “freedownload” di molti di quegli artisti che con il tempo sono diventate vere e proprie star del panorama artistico italiano. Da Fedez con “Il mio primo disco da Venduto”, a J.Ax, a Gue Pequeno… poi con il tempo il lavoro ha preso una piega più “istituzionale”. Continuo però a collaborare con piacere con molti artisti di Torino e non. Penso a Raige, Danti e Shade per citarne alcuni.

Poi arriviamo a Disagio. Quando è cominciato tutto e, soprattutto, come ti senti ad avere uno dei brand più copiati in Italia? Navigando in rete ho constatato l’esistenza di una serie di brand, più o meno competitivi, che ricalcano indiscutibilmente la tua idea.

L’idea in sé nasce circa tre anni fa, anche se è circa un anno dopo che ho capito che questo brand poteva effettivamente funzionare. Per quanto riguarda le imitazioni, mi sembra abbastanza innegabile. Perchè se da un lato io mi sono volutamente ispirare a loghi universalmente riconosciuti come “Supreme” o “Obey”, dall’altro è altresì innegabile di come io sia stato il primo a rielaborare tali loghi associandoli al concetto di ansia, malessere e Disagio appunto. Puoi quindi capire la mia perplessità quando vedo nascere linee di abbigliamento che, con due anni di ritardo, provano a fare la stessa cosa, servendosi degli stessi loghi e font, limitandosi a trovare sinonimi della parola “Disagio”.

Questo ti ha in qualche modo influenzato nelle scelte per questa nuova collezione?

DISAGIO CLOTHINGDirei di si. Sono fortemente determinato a dare a Disagio una sua identità che consenta anche di distinguerlo da una serie di cose a cui viene colpevolmente accostato. Il partire dalla rielaborazione di font altrui ha funzionato e continua ad essere uno degli elementi in gioco ma questo, in un contesto spesso provinciale come quello italiano, ha fatto si che la linea venisse accostata a cose come “Sta sera faccio la brava” o “Chiamarsi bomber” con cui, con il dovuto rispetto, non ha nulla da spartire. In questa nuova collezione ho voluto dare maggiore spazio a quelle che sono le mie idee.

Io, guardando le collezioni precedenti, ho apprezzato molto anche la rielaborazione di grafiche legate al mondo del rap americano. Sto pensando a Jay-Z e Kanye West, di cui sono grande fan.

Si, sono un grande fan anche io come avrai potuto intuire. Per altro riguardo quella grafica di Jay-Z (si riferisce alla scorsa collezione di Disagio. Una reinterpretazione della copertina del disco di Jay-Z “Magna Carta Holy Grail”) ho un aneddoto pazzesco. Dopo la pubblicazione della collezione, ricevo una mail dall’assistente del fotografo che ha scattato la cover dell’album di Jay-Z il quale, a sorpresa, mi chiede informazioni per l’acquisto della maglietta in questione. Io, preso malissimo, inizio a sudare e a contare l’ipotetico numero di strisce che potrebbero comparirmi sul culo in caso di una battaglia legale per plagio. Loro però mi rispondono di stare tranquillo e quindi, a pericolo scampato, ho avuto il piacere di spedire queste magliette a New York dalle stesse persone che mi avevano dato l’ispirazione. E’ stato figo.

Immagino che rielaborando molte grafiche altrui, il numero di “webeti” che ti accusa di plagio sia considerevole. Come ti vivi i commenti degli odiatori da tastiera?

Figa mi incazzo come una bestia. Vorrei insultarli di brutto ma la pagina ha quasi 30K followers e ci dovrei perdere giornate intere. Se vieni su Facebook a dirmi che ho copiato vuol dire che non sai distinguere la differenza tra “citazione” e “plagio”. Prima di venirmi a dire che ho “copiato” il font di Kanye West di “Yeezus” dovresti almeno sapere che lui, ha sua volta, l’ha “copiato” dai Metallica. Rispondo male solo quando mi vengono a rompere sotto il mio profilo personale.

Una cosa che mi piace delle tue cose anche guardando questa nuova collezione (che noi di HANO in quanto culattoni e raccomandati dal giorno 1, abbiamo visto in anteprima) e che sono semplici. Ogni volta che vedo qualcuno proporre qualcosa di nuovo, spesso e volentieri cade nell’errore di voler strafare.

La capacità di saper veicolare uno stato d’animo o un concetto in maniera semplice è sempre stato uno degli elementi vincenti. Sono anche io fan della semplicità. Nella nuova collezione puoi vedere che una delle grafiche è “Fuck your blog”. Sono solo tre parole è vero, ma al tempo stesso richiamano immediatamente tutta una serie di cose che mal sopporto. Penso ai milioni di blog che pensano di avere il potere di decidere cosa è bello o brutto, al mondo delle fashion blogger da cui mi sono sempre tenuto alla larga o a una serie di blog fighetti milanesi che mi hanno sempre snobbato perchè non sono di Milano.

Bene. Io le domande di rito le ho fatte. Parliamo di cose serie. Facciamo scoprire al mondo MENTA. Vorrei sposarla. Tu essendo suo amico dovresti essere in grado di darmi una mano.

(Ride). Menta è la consigliera di Disagio Clothing. Alcune delle idee che contraddistinguono Disagio sono state pensate assieme a lei. Ad esempio eravamo assieme a bere una birra in un bar a Torino quando, guardando lo store della Diesel che riportava lo slogan “This is a Fashion campaign”, lei mi suggerì di descrivere il mio brand con “this is not a fashion brand”. Io ci pensai e la trovai un’idea figa. Per chi non la conoscesse MENTA è la donna del mistero che appare di spalle nella maglietta che prende appunto il suo nome.

Scherzi a parte (scherzi un cazzo che le chiedo di sposarmi sul serio) ho trovato figa la cosa di usare una ragazza “della porta accanto” come lei come “testimonial” piuttosto che la classica strappona da offrire sull’altare della masturbazione.

Si, le mega fighe epiche non le ho mai usate per gli shooting. Ovvio sono fighe, mi piacciono… (risata collettiva) ma non penso c’entrino molto con il brand. Non le trovo adatte. Comunque dai quando vieni a trovarci a Torino faremo in modo di farti trovare Menta (ride).

Ai fini della nuova collezione l’intervista è finita qui. Sarebbe bello raccontare i successivi 15 minuti di conversazione in cui si è parlato di skateboard (tra le altre cose Disagio fa anche le tavole da skate e sono fighissime), di come Ronaldinho sia stato il più grande calciatore degli ultimi 20 anni e di come, in una notte ubriaca a Milano, puoi incontrare Galliani e chiedergli, senza motivo, di comprarti Eto’o. Tutto il resto è DISAGIO.

Diego Carluccio
Diego Carluccio
Diego Carluccio nasce, in tutta la sua presunzione, il 26 ottobre del 1990. Ora di pranzo. Essendo la modestia il marchio di fabbrica della casa, pare abbia dato suggerimenti e consigli su come affrontare il parto allo stesso medico primario. Volendo affossare l’insopportabile luogo comune secondo il quale “dai licei esce la futura classe dirigente”, si iscrive al liceo classico e, sebbene provi a farsi espellere e/o bocciare ripetutamente, consegue l’impareggiabile successo di diplomarsi in 5 anni con un sensazionale 60/100. Da segnalarsi la tesina di laurea: un mix di Ramstein, Marilyn Manson e Neonazismo. Iscrittosi per sbaglio alla facoltà di legge alla statale di Milano, rimane ripetutamente intrappolato all’interno di quel subdolo e tentatore tragitto che connette la fermata “Missori” e l’aula di Diritto Privato. Ritiratosi dai corsi a metà anno, dedica il resto della stagione 2009-2010 al fancazzismo professionistico. Desideroso di ottenere una laurea però, scegli la carriera universitaria che ha il maggior numero di punti di contatto con la disoccupazione perenne: nel 2011 si iscrive al Dams. Laureatosi con il voto di 99/110, in onore dei kg e del numero di maglia dell’idolo di infanzia Antonio Cassano, conclude la propria esperienza universitaria con un tesi dedicata a “Fabri Fibra” e al rap italiano. Prima tesina nazionale a contenere un numero di parolacce superiore a quello dei segni di punteggiatura. Come ogni buon “critico” giornalista che si rispetti, non manca, tra le esperienze del giovane Carluccio, un fallimento artistico. Firma nel 2015 un contratto discografico con una label minore sotto lo pseudonimo di D-EGO MANIA. Il disco “Non è un paese per rapper” riesce nell’ardua impresa di vendere meno copie dell’esordio discografico dei Gazosa. Ora vive a Londra, frequenta un Master in Digital Journalism e lavora nell’organizzazione eventi per uno degli hotel più lussuosi della capitale britannica, ma non preoccupatevi: la sua vera passione è dirvi quanto fate schifo. ALTRE COLLABORAZIONI: Rolling Stone, Noisey, Il Milanese Imbruttito

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