Che “Fabiano detto Inoki” sia ormai diventato il più grande showman della storia del rap italiano non ci sono più dubbi.
Le sue ultime apparizioni in terrazzo hanno un non so che di magico e mediorientale che viene quasi il dubbio abbia fondato una crew di rapper fondamentalisti nostalgici a Beirut.
Qualche giorno fa, Fabiano è riapparso alla nazione vomitando, sempre dal terrazzo, diverse storie Instagram interamente dedicate a Shablo, al suo passato, e a una serie di episodi che potrebbero aver minato il rapporto tra i due.
Il motivo dello scontro? L’intervista che il produttore ha rilasciato sulle poltroncine vellutate del nostro Tonino Dikele.
In un passo dell’intervista infatti Shablo ha ricordato gli esordi della sua carriera e il suo rapporto con Inoki in quegli anni.
Due i passi incriminati dello Shablo pensiero nel corso dell’intervista fiume che, in termini di scorrevolezza, riuscirebbe a trasformare “7 anni in Tibet” in un cortometraggio.
“…purtroppo gli voglio ancora bene, nonostante lui continui ad infamarmi…”
“…come si è gestito le cose sue sono affari suoi, non sta a me giudicare…”
Premessa. Per quanto sia sempre bello scagliare pietre contro i presunti mostri sacri della scena italiana, questa volta però si fa davvero fatica a capire come queste due frasi possano aver scatenato l’ira di Inoki.
Viene il dubbio che il buon Fabiano abbia capito che il suo futuro da influencer/iracondo/talebano sia molto più luminoso di quello musicale. Quale siano i motivi a spingerlo non è chiaro, ma resta il fatto che le sue apparizioni in terrazzo sono ormai più attese del carnevale a Rio e che, anche questa volta, il Jerry Polemica del rap italiano non abbia deluso.
Non gli è andata giù che Tonino abbia chiesto proprio a Shablo di raccontare la storia del rap italiano, lui che, stando alla sua versione, sarebbe ai tempi stato preso nella crew di Inoki “solo perché ci serviva un figlio di papà con un computer”.
Ah, dimenticavo! Anche Tonino Dikele è stato accusato dall’artista “made in Bolo” di essere in realtà tutt’altro che figlio della strada: “Non ho nulla contro Dikele, suo papà è pure pieno di soldi e mi ha pagato per cantare al suo compleanno anni fa”.
Sarà vero? Sarà falso? Poco importa, è uno show e fa sicuramente molto ridere.
E l’intervista di Tonino com’è stata? Magistrale e impressa a fuoco nel greatest hits del giornalismo mondiale. Come sempre.
La prima figura di merda arriva al minuto 1 quando, in occasione della sua primissima domanda, il Fabio Fazio del giornalismo street è riuscito a sbagliare album, anno di pubblicazione e contesto generale. Chapeau.
Per carità, in un’intervista fiume di oltre un’ora può capitare di sbagliare un riferimento, ma alla prima domanda? Le avrai fatte due ricerche per assicurarti che l’intervista quanto meno cominci col piede giusto? Probabilmente no.
È come quando ti presenti a una persona nuova. È estremamente probabile che tu dica una stronzata di lì a breve, ma si presuppone che almeno stringere la mano e ricordarti il tuo nome siano i passi “sicuri” della conversazione. È quindi probabile che Dikele si presenti con il nome di qualcun altro, forse Enzo Biagi.
Solo note negative quindi? Tutt’altro, bisogna dare a Tonino quel che è di Tonino e rimarcare con fragorosi applausi i progressi delle sue maestose skill giornalistiche.
Questa volta Antonio impiega la bellezza di quattro minuti e quarantacinque secondi prima di arrivare alla prima BOCC-ANDA.
Cos’è una “bocc-anda”? Semplice, la bocchin-domanda, l’arma finale del nostro giornalista preferito.
Come riconoscerla?
“Anche solo a vederti da fuori… una persona che sente parlare di Shablo riesce a cogliere tutta l’ambizione e tutte le cose che sei riuscito a mettere in piedi. Nel post 2000 come te la vivevi ad essere un produttore di un genere considerato morto?”
La bocchin-domanda si presenta agli occhi degli osservatori più ingenui come un semplice quesito interrogativo, illusione aumentata anche dall’incedere apparentemente curioso e inquisitorio della frase. La differenza sostanziale sta però nell’incipit della stessa.
Qui si nasconde neppur troppo velatamente un super complimento, una sorta di fellatio verbale che spinge l’artista in questione a bagnarsi copiosamente e a rallegrarsi del fatto che, numeri alla mano, l’informazione italiana sia in un testa a testa feroce con la Zambia.
La BOCCANDA sta a Dikele come Idropompa a Blastoise.
Shablo, giustamente rinvigorito dalle sviolinate, si permette quindi un “quello che facciamo è arte” che pensando all’ultimo disco di Elettra Lamborghini, il parallelismo con la “merda d’artista” di Piero Manzoni appare più forte che mai.
Non poteva ovviamente mancare il capitolo Corinaldo e il riferimento agli strascichi di una polemica che ha minato non poco la vita di Shablo: “Quella notte mi ha cambiato la vita”.
Non sembra ancora però esserci spazio per l’autocritica nella gestione di una vicenda che ha visto oltre al più volte citato sciacallaggio dei mezzi di informazione, anche un’approssimazione organizzativa inaccettabile per artisti del calibro di Sfera.
Che altro?
Beh, sempre seguendo l’Inoki pensiero, pare che il primo nome d’arte di Shablo sia stato “Paola”. Questo il nome con cui il giovane produttore di belle speranze sarebbe stato bullizzato dai membri più anziani della sua crew.
Infine, sempre dalle parole di Shablo, si evince che Don Joe abbia lavorato per un periodo all’IKEA.
Immaginarselo saltellare tra le casse armato di vocoder è un’immagine al limite del sublime.
“QUESTA è I-K-E-A, DIMMI TU CHI SEI? IO SONO DON JOE DEL REPARTO 6,
QUANDO ARRIVI IN CASA NUOVA CON LE BRUGOLE,
PREPARA I CACCIAVITI PERCHE’ TOCCA A ME!
RIEMPIO IL CARRELLO E DOPO MONTO TUTTO ZYOOO…”