Gli A Tribe Called Quest prendono ancora a calci tutti | La nostra recensione
Secondo alcuni il nuovo disco degli A Tribe Called Quest è stato pensato e concepito per essere un successo e “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service” (questo il titolo) sembra che mantenga le promesse fin dal primo ascolto.
Sono ormai passati 26 anni (e 5 album ufficiali) da quanto un giovane emcee di New York chiedeva alle folle “Can I Kick It?”. Qualche giorno fa gli ATCQ pubblicano il loro (ahimè) ultimo album ringraziando tutti i fans e assicurando che “da questo punto in avanti, ci penseranno loro”.
16 pezzi, tutti prodotti da Q-Tip (rappati da lui stesso, da Jarobi White e da Phife Dawg, che ci ha lasciati qualche mese fa) e featuring di livello tra i quali Busta Rhymes, André 3000, Kendrick Lamar, Jack White, Elton John, Kanye West, Anderson Paak e Talib Kweli.
Il disco – è chiaro fin da subito – ha una connotazione politica e sociale importante: “We The People…” parla di gentrificazione, “Dis Genereration” del panorama Hip-Hop attuale e “The Killing People” di problematiche militari.
Fino dalla prima traccia “The Space Program” Q-Tip ci regala rime ad alto contenuto con la sua inconfondibile voce e ci ricorda che anche 18 anni dopo il loro ultimo album (1998 – “The Love Movement”), gli ATCQ si ricordano ancora come si fa il Rap.
“We about our business, we not quitters, not bullshitters, we deliver / We go-getters, don’t be bitter ‘cause we not just niggas.”
Musicalmente, si sente l’impronta che J Dilla (collaboratore storico degli ATCQ) ha lasciato a Q-Tip: questo disco è più assimilabile ad album come “Beats, Rhymes and Life” e “The Love Movement”, con sonorità sperimentali, funk, jazz ed a tratti electro-dark in un’era dove i prodotti Rap che escono sul mercato sono (per vendere) luccicanti ed auto-celebrativi all’ennesima potenza.
Ed è proprio in un brano come “Ego” con Jack White e i cuts di Dj Scratch, che gli ATCQ analizzano il proprio ego, anziché pomparlo:
“The ego makes you do it, it makes you face the music / Or run away from life so fast that you’ll outsprint Carl Lewis / It has you think your deceptive ways of being are the truest / Had the prettiest brown eyes but you change them shits to the bluest. It’s the ego”.
Arduo il compito di nominare una o più tracce preferite: questo genere di dischi sono quelli che più mi piacciono, sia musicalmente che come contenuti ma “Movin Backwards” è uno di quelli; la voce di Andersoon .Paak è dedicata al ritornello, facendo diventare il brano quasi un pezzo Soul.
Inutile dire che il classico modo di rappare di Tip (e Phife) fatto di intelligenza culturale, di ironia, di incastri di alto livello è mantenuto anche in questo “We Got It From Here… Thank You 4 Your Service”: questo fa si che le punchlines siano di un livello superiore rispetto a quello che l’industria musicale ci propina.
Menzione speciale tra gli ospiti del disco a Busta Rhymes, che rispolvera le sue origini Jamaicane in più brani, con un reggae muffin che colpisce per freschezza.
L’ultimo brano “The Donald” potrebbe essere un chiaro riferimento al nuovo presidente statunitense Donald Trump, ma vi sbagliate: è una dedica speciale a Phife Dawg (al quale è stata recentemente intitolata una strada a NY, l’attuale Linden Blvd.), il quale aveva abbandonato il gruppo nel 1998 in occasione dell’ultimo disco degli A Tribe Called Quest per incomprensioni con Tip.
Sostanzialmente un disco che fa sorridere noi “vecchietti”, che abbiamo un po’ perso le speranze nei confronti del rap contemporaneo. Qui dentro c’è tutto: l’anima ed il cuore di chi ha vissuto il rap negli anni d’oro e ce lo vuole riproporre oggi, non modificato ma “ammodernato”.
Il disco, ad oggi che stiamo scrivendo questa recensione è al primo posto della “Billboard 200” con 135.000 copie vendute (di cui “fisiche” 112.000). Missione compiuta.
Gli A Tribe Called Quest sono morti. Lunga vita agli A Tribe Called Quest (ed al Rap, quello serio).
Thank 4 Your Service.