Sono passati 21 anni dal primo album di Shawn Jay-Z Carter; 21 anni da quel “Reasonable Doubt” che è tutt’oggi considerato uno dei migliori album del rapper di Brooklyn.
Qualche giorno fa (quasi a sorpresa) pubblica il 13esimo album di studio, intitolato “4:44“, nome dettato dall’orario nel quale Jay si è alzato – nel cuore della notte – per scrivere la title-track. Il disco è uscito come esclusiva TIDAL/Sprint, ed in una settimana dalla pubblicazione ha già raggiunto il disco di platino secondo la certificazione RIAA (grazie proprio alla distribuzione su dispositivi mobile).
Ma parliamo del disco: abbiamo conosciuto Jay-Z in mille sfaccettature: dall’aspirante King del Rap newyorkese nei primi album (“In My Lifetime, Vol.1” – “Hard Knock Life Vol.2”) passando per i concept album di story-telling basati su film (“American Gangster”), al prepotente arricchito e autocelebrativo (“Watch The Throne”, “Magna Charta.. Holy Grail”) ed oggi – a 47 anni suonati – sembra che il nostro HOVA sia improvvisamente maturato: “4:44” è un album di contenuti atipici, quasi fosse un confessionale attraverso il quale il rapper espii qualche colpa ed allo stesso tempo si tolga qualche sassolino dalle scarpe, il tutto orchestrato da No I.D., veterano con alle spalle produzioni storiche come “I Used To Love H.E.R.” di Common, diventato negli anni un inno alla musica Hip-Hop.
E’ chiara fin dalla traccia “4:44” che da il titolo al disco l’intenzione di Jay-Z di fare “mea culpa”: sul campione di “Late Nights & Heartbreak” di Hannah Williams and The Affirmations chiede sentite scuse alla moglie Beyoncé per le infedeltà coniugali (parecchie sono state le scappatelle tali o presunte nel corso degli anni):
“Look, I apologize, often womanize / Took for my child to be born / See through a woman’s eyes”
I “segreti” che Jay-Z svela in questo disco sono parecchi, alcuni noti ed altri meno: su “Smile” si parla del coming out della madre, che dopo anni dichiara la sua omosessualità. In questo caso No I.D. regala al beat i vocali di Stevie Wonder tratti dal pezzo “Love’s in Need of Love Today” e Gloria Carter stessa, chiude la traccia leggendo una poesia.
“Cried tears of joy when you fell in love / Doesn’t matter to me if it’s a him or her”
La traccia che apre il disco invece è “Kill Jay Z” dove in questo caso il rapper punta il dito su Kanye West e Future, accusandoli di avergli voltato le spalle, dopo aver avuto un rapporto di fratellanza e fa chiari riferimenti all’aggressione ricevuta dopo il MET Gala del 2014, dove Solange – sorella di Beyoncé – lo attacca in ascensore.
In questo caso No I.D. utilizza forse l’unico campione di matrice non-soul di tutto il disco: si tratta del brano degli Alan Parsons Project “Don’t Let It Show”.
Un’altra traccia dove il rapper di new York punta il dito contro qualcuno è “Caught In Their Eyes”, ed in modo particolare contro il procuratore di Prince Londell McMillan, accusato di non aver rispettato il volere del cantante dopo la sua morte (Prince aveva accordato di pubblicare il proprio catalogo attraverso Tidal, voce poi smentita per mancanza di un contratto vero e proprio).
Non mancano gli omaggi alle sue origini: “Marcy Me” è un’ode ai Marcy Projects, quartiere di Brooklyn che hanno visto Jay crescere: questo quartiere è famoso per aver dato i natali ad altre personalità della musica black americana tra i quali Lil’ Kim, Yasiin Bey e Big Daddy Kane ma il più importante è stato sicuramente Notorious B.I.G. (uno dei samples utilizzati in questa traccia è appunto “Unbelievable” di Biggie Smalls).
“I’m from Marcy Houses / where the boys die by the thousand […] / Marcy me
Streets is my artery, the vein of my existence / I’m the Gotham City heartbeat”
Dal progetto è già stato tratto un video dal brano “The Story of O.J.”:
I featuring su questo disco sono pochi (come poche sono le tracce, 10): Frank Ocean (“Caught In Their Eyes), Damian Marley (“Bam”) e la madre, Gloria Carter. Beyoncé e la figlia non compaiono nei credits, pur essendo all’interno del disco.
Musicalmente – come già precedentemente accennato – l’utilizzo massiccio di samples fa si che “4:44” sia un disco dal suono assolutamente classico: Nina Simone, Stevie Wonder, Sister Nancy, Donny Hathaway trovano posto all’interno di questo progetto, a completare (e quasi sopperire) alle mancanze vocali di Jay-Z. “4:44” è stato il primo disco del rapper ad avvalersi delle produzioni di una sola persona.
Questo 13esimo album di Jay-Z è da considerarsi un passo in avanti rispetto ai “flop” dei dischi precedenti, da “Kingdom Come” in avanti.. Musicalmente solido, è la dimostrazione che una persona possa maturare anche a 47 anni, senza obbligatoriamente parlare di soldi, opere d’arte e super-ego. (nonostante Jay-Z continui ad essere uno dei rapper più ricchi viventi).
Young Guru, ingegnere audio fedelissimo al rapper ed alla sua Roc Nation (Roc-A-Fella Records) promette che sulla copia fisica del disco in uscita ci saranno altre tracce inedite, specialmente quella famosa “Adnis” ascoltata nel trailer di “4:44” proiettato durante le Finals NBA, dove anche in questo caso Jay-Z ha un altro messaggio personale, questa volta per il padre:
“Letter to my dad that I never wrote / Speeches I prepared that I never spoke / Words on a paper that I never read / Proses never penned, they stayed in my head”
Per concludere vi lascio con una riflessione, un post pubblicato da Pete Rock qualche giorno fa, dove esprimeva un parere personale sul disco “4:44”:
Che anche questa volta – in un modo o nell’altro – Jay-Z abbia ri-dettato le regole del Rap Game o abbia fatto una sapiente mossa di marketing per portare alla ribalta delle cronache parte della sua vita privata, non lo sappiamo.
Di certo non è un album innovativo o che aggiunge qualcosa a quanto attualmente sia la scena Rap statunitense. Ma che sia un album diverso, soprattutto nei contenuti è innegabile e sarà soltanto il tempo a darci una risposta.