Quando qualche settimana fa è uscito il singolo (già disco d’oro) Ulisse che anticipava l’album Redenzione di lowlow l’ho intervistato per telefono e sono rimasto molto incuriosito sia dal disco che dal personaggio.
Così qualche giorno fa ho sentito il disco, poi l’ho risentito, poi l’ho risentito ancora e una cosa mi ha colpito molto. Il disco mi piaceva.
Finalmente qualcosa che non parla di scooteroni (wrooom!) ma anche di cose un po’ più serie!
Così zaino in spalla sono andato nella sede della Sugar a Milano per incontrare finalmente lowlow, capire qualcosa di più di lui, ma soprattutto di questa sua redenzione!
Caro lowlow l’ultima volta che ci siamo sentiti, quando è uscito Ulisse, mi ero detto entusiasta e molto ansioso di ascoltare tutto il disco!
Ora: il disco l’ho ascoltato e devo dire che ha soddisfatto a pieno le mie aspettative, però mentre venivo qui e rileggevo la nostra intervista a riguardo mi sono reso conto di non averci capito praticamente niente, insomma mi sarei aspettato un disco molto più…
Più cupo!
Esatto! Invece ci sono diversi pezzi che strizzano un occhio anche al pop e alle radio come ad esempio il ritornello di Ti ammazzerei!
Insomma è un disco molto particolare e a tratti faccio molta fatica ad inquadrarlo, tu dove lo inseriresti nel panorama musicale italiano?
A me non piacciono le etichette di genere, quello che faccio io, lo faccio solo io.
L’obiettivo di questo disco è far vedere che facendo delle cose personali ed innovative si può arrivare a grandissimi risultati senza inseguire una necessità di pubblico.
Questa è stata la sfida più grande della mia vita, io l’ho davvero affrontata come se parlassi ad un mio confidente intimo e di base c’è una fiducia nel mio pubblico e nell’intelligenza delle persone che mi ascoltano di percepire qualcosa di più complesso e l’intensità di questa cosa.
Quindi è un disco idealista per uno che di solito è cinico come me, io la vedo un po’ così! A me fa piacere che vengano fuori delle mie sfaccettature meno cupe perché il mondo del “sono depresso e voglio morire” è molto la mia comfort zone ma la mia vita ora è cambiata, e un’artista, un’artista fortunato, deve cambiare e deve evolversi.
E’ questa la redenzione: far vedere dei lati di me mettendomi in dubbio su determinate cose, essendo più sicuro di altre; insomma sono io, un io di cui non ero mai riuscito effettivamente a far venire fuori tutto anche per la necessità di continuare a promozionarmi e promozionarmi. Ora le mie canzoni sono la mia promozione delle cose, io devo andare a fondo, sia nel bene che nel male. Mi sento più libero.
Io credo che la tendenza dei rapper italiani sia sempre stata quella di raccontare un po’ la realtà che vivevano nei loro testi, che fosse da ghetto o da jet-set; so che questo disco l’hai scritto mentre veniva prodotto qui a Milano. Come ti ha influenzato il vivere a Milano nello scrivere il disco?
Bene, senza dubbio, è stata anche la mia prima esperienza da solo
Dici che si sente l’impronta milanese?
Io sono da sempre un po’ un Milanese, un po’ un BAUSCIA, CIOE’ DAI ZIO!
Questo disco l’ho sognato in questa maniera, e anche questo personaggio è esattamente quello che avevo sognato; è stato un processo naturale e non credo sarei riuscito a fare altro.
E’ stato molto spontaneo ed è una cosa che di solito non lodo (lodo il prodotto non il lavoro che c’è dietro) però mi rendo conto che è un disco più idealista di quanto volessi, più naturale, meno costruito di quanto pensassi di fare, perché io comunque mi sono messo in gioco sapendo che questa è la mia occasione.
Parliamo un po’ del packaging, si lega molto al concetto di specchi, specchi infranti, e nell’edizione speciale c’è anche questo piccolo specchietto opaco.
Questo disco è un riflesso distorto di te stesso? O è il modo in cui ti vedono gli altri che non è il modo in cui tu vedi te stesso?
C’hai presente la frase di Arirang, alla fine del bridge, in cui dico “poi mi sconvolgo e penso che la mia vita è bella solo nell’idea di ciò che credi che sono”.
Io sono molto idealista e lowlow è un po’ un ideale di “me contro tutti, succhiatemi il cazzo, me against the world” la vita lascia molto meno questa possibilità, ma l’arte è più bella; non sono legato a doppio filo a questo raccontare quello che sto vivendo perché potrei andare dappertutto scrivendo. Potrei fare un pezzo su questo divano verde. La musica mi permette di esplorare e anche grazie a Fausto (Cogliati ndr.) sto vedendo delle possibilità artistiche che prima non avrei mai potuto vedere.
Quando tu capisci delle cose, ti succedono delle cose, sei sempre lo stesso ma hai una prospettiva diversa per cui riesci a fare meglio.
A proposito di Fausto Cogliati, ha prodotto tutto lui il disco?
Si tranne Giulio Elia che è prodotta dai 2ndRoof. È l’unico pezzo autocelebrativo del disco, molto più club.
Il pezzo che mi è piaciuto di più è però Arirang! È un anagramma? Arrangi?
No!
Senti che storia.
Allora Arirang è il titolo di un documentario di Kim Ki-duk (regista Coreano ndr.) che è uno fuori di melone e fa film pensatissimi.
Ad un certo punto Ki-duk ha girato questo film in cui la sua attrice si stava impiccando, lui che è uno mega empatico che soffre per la violenza (come me, infatti i suoi film sono strazianti) c’è un po’ rimasto per questa cosa e ha fatto, appunto, questo documentario in cui lui si chiude in un capannone in Corea per due anni e mezzo e parla e si confessa ad una telecamerina.
Dev’essere una persona davvero eccezionale, io c’ho pianto.
Ad un certo punto ci saranno quaranta minuti in cui c’è lui che parla con la sua ombra e crea quest’effetto da ragazzino che gioca a fare il regista con l’ombra sul telone e lui che si fa le domande.
In realtà Arirang sarebbe il canto dei soldati coreani che vanno al fronte a morire, insomma è un insieme di citazioni.
Continuando a parlare del disco: ci sono diverse tracce che sono molto diverse tra loro: per esempio Ulisse è davvero molto diversa da Ziggy che invece ha delle sonorità più pop.
Si è anche più allegra.
Ziggy sarebbe il mio psicanalista. Io ho una mia comicità, un mio modo di essere graffiante e cinico e di prendermi in giro che non è mai autocommiserante come accade di solito in Italia. “Io sono sfigato o mio dio ecc.” non mi appartiene tanto, mi amo troppo. Però da Ulisse dove ci sono i miei deliri di onnipotenza a Ziggy, io mi sento io, sono cose su cui metterei il bollino d’originalità. Poi non importa se sono cose pop o rap, io ci vedo me.
Ziggy è un tributo a David Bowie?
No, per quanto però Bowie mi piaccia! Ho anche una sua maglietta!
È un disco ricco di citazione letterarie, come per esempio Il sentiero dei nidi di ragno, e anche Canto V che una canzone d’amore un po’ atipica. Chiaramente si rifà a Paolo e Francesca però non ha citazioni di “Amor c’ha nullo amato”; insomma io dal titolo mi sarei aspettato più una serenata.
È una canzone molto personale. Lì secondo me il discorso interessante è che ho voluto far vedere che non sono più un ragazzino che fa canzoni d’amore piene di cliché, infatti finisco la seconda strofa con una domanda aperta cioè “ti ci trovi quando inizi ad avere successo a cercare di capire quanto puoi dare di te stesso agli altri? Quanto devi tenerti di tutto quello che fai per te facendoti terra bruciata attorno per non disperdere le energie?” mi piace il far vedere anzitutto una realtà più vera e non banale, meno infiocchettata, di quella che è la vita di un rapper, da una parte, e dall’altra mi piace la cosa di poter mettere l’ascoltatore nei miei panni: cioè tu al mio posto cosa faresti?
Come ti relazioneresti con una ragazza che ti piace?
La gente non capisce quanto ho sacrificato io a livello di amicizie e di affetti, di relazioni, per stare qui.
Sei soddisfatto del risultato?
Sono fierissimo però non sono soddisfatto, se fossi soddisfatto sarebbe la fine! Mai accontentarsi!
Niente più stupido di sognare invece è un pezzo dedicato a tuo fratello!
Che rapporto hai con lui o con i tuoi genitori, insomma ti manca casa?
No, non mi manca casa. Io devo tantissimo ai miei e voglio un sacco bene a mio fratello ma siamo tanto diversi, però ci sono delle cose su cui incredibilmente siamo simili che è un po’ il retaggio che ci hanno passato i nostri genitori.
Ascolta il rap tuo fratello?
No guarda lui ascolta musica stranissima, roba giapponese. Ha molta più cultura musicale di me ed è anche più intonato; è un po’ fuori di melone però è anche molto intelligente, nonostante sia il mio opposto.
Ti chiedo della tua famiglia perché ascoltando il disco e le citazioni personali mi sembra che tu sia cresciuto in un ambiente culturalmente stimolante ed artisticamente molto ricco.
Si, molto stimolante, però io sono l’unico artista in famiglia, non sono figlio d’arte anche se mio padre voleva fare lo scrittore.
Io faccio lo scrittore.
A proposito di scrivere, Borderline è uno storytelling molto affascinante
Ti è piaciuto?
Si, ecco, diciamo che non mi ci rivedo tanto perché è un storytelling di una ragazzina problematica ed autolesionista, però sicuramente è molto ben narrato
Dentro ci sono dei trick letterari che mi piacciono, il narratore onnisciente che entra nella storia oppure il fatto che quando racconto in prima persona parlo come se fossi una ragazza!
Senti ma cosa ti ha spinto a scrivere un pezzo così? Qualche tua fan che si tagliava?
Si quello si, poi, dopo aver fatto Arirang, ho guardato Fausto e gli ho detto: “ei Fausto facciamo un pezzo sull’autolesionismo!” e lui mi ha inaspettatamente risposto “sì dai, che figata”. Resterà uno dei misteri della fede di questo disco.
Tra l’altro ossimorica quasi la produzione, tutt’altro che triste, con questi arpeggi alla El topo che mi hanno ricordato qualcosa di Localz Only di Noyz e Fritz!
Si è un pezzo molto particolare!
Poi mi piace molto il fatto che io riesca a dare una morale positiva, eppure ci vedo una coerenza, ci vedo dentro lowlow anche se questa è una cosa che non ho mai fatto! Questa capacità che ho di riuscire ad inserirmi in più contesti rendendoli miei mi fa credere nella mia crescita. Se uno rimane attaccato alla propria zona è facile muoversi con libertà, magari se avessi fatto un disco meno pretenzioso sarei anche più tranquillo.
Dici che sei uscito dalla tua comfort zone con questo disco?
Tutte le persone che hanno lavorato a questo disco si sono spinte oltre e si sono messe in gioco e questo è il motivo per cui ci crediamo tanto.
Parliamo della title track, Redenzione, decisamente una traccia particolare!
Sai che è la traccia che a disco finito mi sto ascoltando di più?
“Promettimi che tu e mia sorella uscirete assieme” è proprio una frase che mi fa ridere!
Sono cose che comunque mi sono successe, cioè io ho avuto fan che mi beccavo con la sorella ed arrivava il fratellino di tredici anni a chiedermi di spiegargli le cose!
Come ti relazioni con i tuoi fan? Mi sembra che tu abbia un buon rapporto con loro! Ci tieni, no?
Si ci tengo molto e ho anche imparato a farlo. Sono cose che si imparano.
Io sono cresciuto con il rap, con qualcosa da dimostrare e con la necessità di avere un nemico; quando capisci che loro sono le persone che ti permettono di essere le cose belle che sei trovi una sicurezza, non hai più bisogno di metterti su un piedistallo e forse questo significa che ho fatto un passo in avanti. Io mi relaziono con tutti con la massima tranquillità e sono molto grato a tutti quelli che mi ascoltano; però ci sono dovuto arrivare.
Comunque trovo che questo sia davvero un disco maturo, sia per il pubblico a cui si riferisce che si sta allargando, sia per le storie, sia per come tratti certi temi. Una cosa che mi ha colpito molto è il poster che c’è nella confezione, o meglio il lungo soliloquio che c’è dietro!
È un testo scritto come scrivi tu le canzoni, cioè molto ritmico, con tanti segni d’interpunzione, però è molto cupo.
L’hai colta la citazione di Scarface? È una citazione che si coglie solo se si guarda il film in lingua. Quando lui sta nella vasca a guardare il telegiornale, cambia canale e va a vedere un documentario dicendo “ah guarda ci sono i pellicani!”, in realtà lui sbaglia il nome dell’uccello, li chiama pellicani ma è evidente che sono fenicotteri! È una cosa di culto nel rap americano, anche Jay-Z c’ha fatto delle rime, però nella versione italiana non viene fuori. È un testo pieno di citazioni cinematografiche (c’è anche una frase da La promessa dell’assassino) però è scritto soprattutto per quelli che mi conoscono e che hanno visto la mia evoluzione.
Ti dirò un frasone che ho pensato ieri: se le ragazze ti piacciono più delle collane d’oro non puoi fare questo lavoro perché sei troppo tenero.
A me non succederà mai quello che ho raccontato, non arriverà mai una a chiudermi in una stanza d’albergo, però volevo vedere “cosa sarebbe successo se”, se non avessi rinunciato alla mia vita per la musica, una sacra rinuncia che vedo solo io e che però mi aiuta a scrivere. Pensa che doveva essere un racconto sulla box e invece è diventato 50 sfumature di lowlow!