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Intervista a Fabio Petani: i capolavori non sono solo nei musei e gallerie

Intervista allo street artist torinese Fabio Petani

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Presentiamo oggi l’intervista a Fabio Petani, un artista che (come dice lui stesso) non si colloca nè tra i writers nè tra gli street artist, in quanto ha intrapreso un percorso del tutto personale che lo ha portato a creare nelle sue opere una “disordinata armonia di linee, forme e volumi” (cit. www.fabiopetani.com).
Ma andiamo a scoprire il suo mondo nella chiacchierata che segue, buona lettura e buona visione.

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– Ciao Fabio, prima di tutto una curiosità: tanti artisti usano degli street-name, mentre tu hai scelto di tenere il tuo nome e cognome. Perchè?

Semplicemente perchè io non arrivo dal mondo dei graffiti, non mi va di arrogarmi un percorso che non ho fatto facendo finta di arrivare dal mondo del graffitismo. Quindi per coerenza personale e per rispetto verso coloro che hanno portato in alto un movimento che poi è sfociato in generi quali street art, muralismo ecc… preferisco mantenere una linea personale. Allo stesso modo non mi definisco un artista di street art ma piuttosto un artista urbano in quanto dipingo su facciate cittadine, come in luoghi abbandonati che una volta erano luoghi di lavori delle città ma allo stesso tempo espongo in gallerie.

– Guardando i tuoi lavori è subito riconoscibile il tema floreale, perchè hai scelto di usare come soggetto prevalentemente fiori e piante? E perchè l’accostamento con i nomi di elementi chimici?

In realtà è nato tutto dagli elementi chimici. I miei primi lavori erano caratterizzati da forme geometriche astratte alle quali ho iniziato ad aggiungere i nomi di elementi chimici. Questo per la volontà di creare una sorta di legame tra lo spazio, il contesto, la situazione o delle persone con il mio lavoro. Ogni elemento aveva un rapporto col muro, ma mancava di qualcosa e così dipingendo ho visto che ogni luogo aveva piante diverse perciò ho voluto riproporle per rafforzare ulteriormente questo legame e via così.

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– Qual’è la differenza per te tra dipingere in un cosiddetto “abandoned place” oppure all’interno di una galleria d’arte? In quale delle due situazioni ti senti più a tuo agio?

Son due sensazioni diverse. Dipingere in un luogo abbandonato regala spunti artistici legati alle architetture e soprattutto è stato lo spazio dove ho potuto accrescere, sperimentare e affinare le mie idee che poi si trasformano in opere più accurate e studiate per i lavori pubblici e per le esposizioni in gallerie.
Queste due ultime tipologie per rispetto ai luoghi abbandonati presentano più riconoscimenti e servono per arricchire il proprio percorso e la propria autorità artistica. Diciamo quindi che dipingere in luoghi abbandonati lo si fa principalmente per il gusto di farlo e per provare nuove idee, mentre lavori pubblici e gallerie garantiscono più credito mediatico e lavorativo.

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– Leggo nel tuo sito che ti sei laureato presentando una tesi sull’arte urbana. Facci un piccolo riassunto, di cosa parlavi nella tesi?

Nella mia tesi ho trattato temi legati al modo di interfacciarmi con gli artisti che operano per la strada. Ovvero che se un grande artista fa un’opera spontanea per strada è visto diversamente piuttosto che all’interno di uno spazio esclusivo considerato un tempio artistico come una galleria o un museo.
Quindi gli artisti che operano su strada stanno un pò sfatando questo mito avvicinando la gente a capire che molti grandi artisti contemporanei stanno già facendo capolavori sui muri, e non ci sono solo capolavori in musei e gallerie.

– Facciamo un passo indietro, come ti sei interessato a questo tipo di attività? Hai frequentato l’ambiente dei graffiti o sei passato direttamente alla street art?

Come dicevo prima non faccio nè uno nè l’altro. Mi piace dipingere, mi piace molto farlo su grandi superfici ma anche su supporti medio piccoli (50X70, 60×100, 120×120 per intenderci).
Quindi sintetizzando molto ho semplicemente fatto di tutto e mi sono impegnato al massimo per far un lavoro che coincidesse con la cosa che mi piace di più fare senza scavalcare nessuno e senza arrogarmi titoli non miei.
Io dipingo quello che mi piace.

– Partecipi spessi ad eventi legati ai graffiti e alla street art, quale ti è piaciuto di più? Se fossi tu l’organizzatore di uno di questi eventi come ti piacerebbe impostarlo?

Io collaboro con un festival di arte urbana o street art come la si vuole chiamare (i termini son molto lassi) che si chiama StreetAlps ed è a Pinerolo. Quindi so i problemi che si riscontrano sia come artista che come organizzatore.
Quindi so di non prendermela con chi organizza e magari fa qualche errore o altro e so cosa ha bisogno un artista per lavorare sereno e a proprio agio. In tutto ovviamente tengo sempre conto che alla base del nostro mestiere c’è sempre la felicità e l’impegno nel farlo quindi chiunque faccia qualcosa legato a questa attività con piacere per me ha già vinto…

– Ti capita di fare lavori su commissione? Pensi che la tua arte possa diventare un lavoro?

Eeeheheh non ho ancora la villa in Costa Azzurra ma ci stiamo lavorando su. A parte gli scherzi questo è il mio lavoro. Non mi interessa diventare ricco, mi interessa vivere facendo quello che mi piace. I soldi son poi solo un risultato, arrivano. Ma davanti a tutto ci deve esser l’aspetto artistico.

– Cos’è l’associazione “Il cerchio e le gocce”? Di cosa si occupa?

Il Cerchio E Le Gocce è un’associazione culturale, nata a Torino nel 2001. L’interesse radicato per le culture underground, la street-art e il graffiti-writing, da promuovere all’interno della città, in modo finalmente legale, porta alla nascita di questa realtà.

Dopo essersi fatti le ossa a Torino, nel 1999, prendendo parte attiva a Murarte (il primo progetto italiano che avesse come obiettivo una massiva riqualificazione urbana), i fondatori de Il Cerchio e le Gocce strutturarono un nuovo tipo di associazione, che fosse in grado di mediare fra il mondo del graffiti-writing e le istituzioni.

Alcuni esempi? Il Picturin, Festival torinese di arte urbana, iniziato nel 2010 e proseguito nel 2011 e nel 2012. I risultati? Facciate cieche, periferiche e centrali, rivestite di nuovi colori e riportate alla luce. Le due opere più rappresentative sono, forse, “Culture Colors Your Life” (2010), e un intervento dell’artista spagnolo Aryz, realizzate sulle due facciate di Palazzo Nuovo, l’Università degli Studi di Torino.

Vanno poi ricordate le sei convention di Street Attitudes (dal 2002 al 2011), il cui obiettivo era coordinare artisti di provenienza ed estetica diversa nella realizzazione di grandi muri, nelle sedi delle città ospitanti la manifestazione. E poi Leggende Tra I Monti, un format che prevede l’intervento pittorico in Paesi di montagna, congiungendo quella che è la tradizione con un termine ad essa apparentemente antitetico: la street-art.

Negli ultimi anni l’associazione si è impegnata nella promozione dell’arte urbana sul territorio per aumentarne la fruibilità, con alcuni progetti tra cui Inkmap (una mappa-percorso che permette di individuare e raggiungere le opere di arte murale in giro per Torino) (www.inkmap.it)

Andrea Bastia
Andrea Bastia
Appassionato di cultura hip hop da ormai troppi anni e writer fallito, dopo qualche esperienza in proprio sul web approda definitivamente su Hano. Si occupa della rubrica dedicata agli artisti emergenti e a quella sui Graffiti.

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