DNA è il nome del progetto che mette insieme quattro rappresentanti della scena rap napoletana ovvero: Giorno Giovanna, Dope One, Dekasettimo e Fugo. Il risultato di questa unione è sfociato nella pubblicazione di un ep di 4 tracce uscito proprio oggi e che porta lo stesso nome del gruppo: DNA. Sempre oggi è uscito anche il video del pezzo probabilmente più rappresentativo di questo lavoro: Madre Napoli.
Per sapere tutto di questo super-gruppo abbiamo incontrato tutti e 4 i rappresentanti e gli abbiamo fatto qualche domanda, ecco a voi il risultato nell’intervista esclusiva che ci hanno concesso.
Perché avete deciso di formare questo gruppo e perché il nome DNA?
Giorno Giovanna – Il nome DNA ha diversi significati. C’è il gioco di parole: Di NApoli.Oppure Diamo Notizie Autentiche, come ha detto Dope One. Poi naturalmente c’è la chiave scientifica, la più immediata: il DNA, l’origine della vita, mente, anima, spirito. DNA è’ l’unione dei 4 rapper più geniali, più preparati di questa città, coi flussi più belli, più violenti, più spinti, più veri. Abbiamo formato questo gruppo perché è da una vita che siamo i 4 rapper più fottutamente forti, chi segue l’underground lo sa. Oltre al fatto che siamo amici stretti ovviamente.
Fugo – Personalmente quando abbiamo scelto il nome la vidi subito come dire “questa roba ce l’abbiamo nel DNA, ce l’abbiamo nel sangue”. Siamo davvero legati a questa roba, non la facciamo certo per i numeri.
Dekasettimo – Tutti noi ci conoscevamo da molti anni, ma la colonna portante di questa crew è Giorno Giovanna che per tutti noi è una sorta di leggenda e siamo onorati che abbia scelto noi per formare questo gruppo.
Chi ha curato le produzioni del disco?
Fugo – I pezzi sono 4 e sono prodotti da 4 beatmaker diversi: Doc Ketamer, B-Boy Enea, Burbuka e The Unknown Producer.
La traccia a cui sono attaccato maggiormente per quanto mi riguarda è Madre Napoli (prod. Doc Ketamer) perché è quella dove si puà sentire davvero quello che proviamo per questa terra.
Visto che siete in 4, come mai la scelta di fare solo un ep rispetto ad un progetto più “completo”?
Fugo – E’ un progetto che non si fermerà qua sicuramente, l’ep è solo l’inizio ma io credo proprio che seguiranno progetti più corposi. Noi siamo qua a sputare su qualunque beat ci verrà proposto.
Dekasettimo – Personalmente giudico questo lavoro come un primo mattoncino, serve anche come lavoro di assemblaggio per tutti noi che non ci eravamo mai trovati a produrre qualcosa tutti insieme. Potrebbe essere un “apripista” per un lavoro successivo, come successo con i 13 Bastardi con l’ep “Troppo” e poi l’album “Persi nella giungla” un disco che giudico un vero e proprio diamante partorito dalla nostra terra.
Parliamo di Napoli, che credo sia alla base di questo lavoro. Cosa significa per voi Napoli, venire da questa città e fare musica in questa città? Cos’ha Napoli in più di altre città?
Fugo – Io penso che Napoli non abbia niente in più, ma forse qualcosa in meno. La realtà di Napoli è quella di essere piena di problemi, noi cerchiamo sempre di riscattarci raccontando le cose positive.
Dope One – Penso ci siano vari aspetti che hanno potenziato il mio rap. Uno di questi è proprio vivere in questa realtà, respirare la storia, la cultura, camminare tra strade e chiese antiche, in questo ambiente così storico tutto acquista un sapore diverso. Vivere già da piccoli in una città che è costantemente sotto l’occhio critico di tutta la stampa ha potenziato il nostro rap. Subiamo anche l’influenza del Vesuvio, uno dei vulcani più famosi ma anche più pericolosi. Da queste parti lo chiamiamo “Gigante addormentato”.
Tutto questo ci fa sentire un “fuoco” addosso, che conserviamo per uscire dalle brutte situazione, per scordarci dei problemi. Oggi siamo tutti un po’ come il Golfo di Napoli, nel senso che la nostra posizione ci rende aperti a tutti gli scambi culturali. Guarda ad esempio la musica napoletana, è conosciuta in tutto il mondo. Come diceva la frase di Carosone (che cito spesso nei miei freestyle) “Tu vuò fa l’americano?”
Io no, grazie. Perché sono di Napoli, ho il folklore, ho De Filippo, ho Totò… tutto nel DNA appunto.
Veniamo dal vero mercato, quello della gente. Abbiamo la lingua napoletana che è un patrimonio da difendere. L’unione di tutto questo è DNA.
Credete sia giusto dire che negli ultimi anni è stato un po’ sdoganato il fatto di rappare in dialetto napoletano? Quanto ha contato il successo di Geolier?
Dope One – Ci sono tanti artisti che hanno davvero fatto tanto per portare la lingua napoletana in tutto il mondo. Magari è anche un fenomeno del momento, ma questa “missione” c’è da sempre e non solo per quanto riguarda il rap ma per l’arte in generale.
Fugo – Io credo che questa cosa sia stata amplificata recentemente dai social media, ma i veterani del rap di Napoli hanno sempre rappato in napoletano. Polo, Sha One (La Famiglia), 13 Bastardi, Clan Vesuvio, Co’Sang… Qui si è sempre rappato in napoletano.
Io personalmente rappo in napoletano perché l’italiano non lo so parlare bene! Qui forse solo a scuola si parla l’italiano, ma forse! (ride) Ma il napoletano è la nostra lingua madre. Qualcuno lo può vedere come un difetto, perché al di fuori della Campania non ci capiscono bene. Per me no. Pazienza.
Dekasettimo – Aggiungo che tra di noi c’è un buon bilanciamento visto che solitamente io e Giorno Giovanna scriviamo in italiano mentre Dope e Fugo prediligono il dialetto.
Per quanto riguarda il rap in napoletano, certo Geolier ha dimostrato doti e talento fuori discussione ma credo anche che sia importante il periodo storico e che lui si sia trovato in un momento piuttosto propizio per la città di Napoli. Così come successe ad esempio ai Co’Sang con il boom di Gomorra che andò di pari passo. Adesso va molto forte Napoli per il turismo, per le serie TV (in primis Mare Fuori) e perché no, anche per la vittoria dello scudetto dell’anno scorso. Serviva quindi un esponente napoletano che ci rappresentasse.
Però non mi sembra che adesso ci sia più movimento, anzi per la mia esperienza personale credo che prima ci fosse un circuito locale più attivo di adesso. Forse adesso quello che c’è lo sentiamo di più perché fa più “rumore”, grazie al meccanismo dei social media.
Detto questo è fisiologico che adesso i ragazzini vogliano emulare i loro idoli rapper che ce l’hanno fatta, però se non c’è il talento è inutile continuare a provare. Il problema è che prima era il disagio che ti portava a fare rap, ad oggi mi sembra l’opposto, la tendenza è dimostrare di avere tutto, di vivere nell’agiatezza.
Prendendo spunto da una barra contenuta nel vostro ep, vorrei parlare adesso di un argomento delicato: la trap. Qual è la vostra posizione a riguardo?
Giorno Giovanna – La barra in questione è la mia ma non è che gli dia molta importanza, è solo una barra tra tantissime altre scritte con concetti anche più importanti. Forse ha fatto un po’ scalpore per la parola “tumore” (n.d.r. la strofa dice “ascoltate la trap? State per contrarre il tumore”). Quello che volevo dire è che di sicuro come tecnica e stile la trap non è una cosa che mi ascolto e a cui vado appresso.
Penso che la trap non abbia portato nessuna innovazione e in ogni caso a me come stile di scrittura non piace. Non provo né odio né rancore per questo sotto genere ma chiunque capisca di musica sa che anche il più forte a fare trap ha dei flussi che sembrano quasi “sbagliati”. E’ difficile trovare il trapper tecnicamente valido.
Fugo – Con la trap non posso dire di avere un buon rapporto. Ho provato ad ascoltare qualcosa ma non ci riesco. Alcuni dicono che sia un “ramo” del rap, dell’hip hop, ma io non sono d’accordo nel modo più assoluto.
Dope One – Noi siamo per l’hip hop, per la cultura, la knowledge. Credo che ci sia grande disinformazione riguardo la trap, o quello che oggi vogliono chiamare trap ma che in realtà esisteva già vent’anni fa ma con un altro nome.
Oggi ci si appropria del termine “trap” per parlare di violenza, droga, omofobia… Vedo persone usare il rap per fare soldi veloci, ma senza fare le rime. L’hip hop non viene riconosciuto, non c’è rispetto per i padri fondatori. Noi rappresentiamo la cultura hip hop, noi che siamo “underground”. In America invece, dove c’è la vera cultura del rap, non c’è questa netta distinzione tra underground e mainstream. Tutti rappresentano il rap.
Qua vedo che si dà più importanza al ritornello che alle rime. Le rime stanno all’ultimo posto. In America, trap o non trap si fanno le rime. Punto. Prendi Meek Mill, lui fa trap ma è rispettato da tutti. In Italia ci sono artisti che una volta raggiunto il loro tornaconto, poi si dimenticano della cultura. Io vedo questa musica come distruttiva, nei confronti dei giovani. Questi artisti una volta raggiunto il successo, fanno passare il messaggio che con i soldi sia più importante comprarsi una cintura di Ferragamo piuttosto che magari aiutare la propria famiglia.
Se poi vogliamo parlare di trap allora bisogna dire che non è neanche un genere musicale vero e proprio. E’ una copia di qualcosa che esisteva già, un sound nato nelle trap house ad Atlanta circa 25 anni fa. Ma è un discorso lungo.
Dekasettimo – Per quanto mi riguarda faccio ancora fatica a distinguere rap e trap. Probabilmente la differenza principale sta negli argomenti trattati, se questi sono le belle auto, il vestiario firmato ecc… allora mi considero distante da questo mondo, ma forse è anche un fattore di età.
Non credo di essere io il target adatto dei testi di questi artisti trap. Da questo punto di vista forse ci portiamo dietro un po’ di retaggio Berlusconiano.
Parlando di sound invece ti devo dire che avendo a disposizione dei beat trap probabilmente mi divertirei anche a scriverci, ma sicuramente in maniera diversa dai testi scritti in serie che si sentono adesso.
Una curiosità mia, guardando il programma “Nuova Scena” ho notato che tantissimi degli artisti emergenti che hanno partecipato venivano proprio da Napoli. Perché secondo voi?
Giorno Giovanna – Napoli è una metropoli, una città multietnica e per molti la più bella del mondo. Proprio perché è una città dove spesso si fa riferimento alla vita di strada, è molto propensa alle arti che nascono dalla strada, come il rap. Già da molto tempo qua si fa l’hip hop, probabilmente è vero che oggi se ne sente parlare di più ma già storicamente ci sono luoghi dove si è vissuto l’hip hop come le Poste dove si riunivano i breaker, o intorno al bidone di San Domenico dove io fui uno dei primi a fare freestyle assieme ai gruppi storici underground di Napoli. Senza contare il fatto che il napoletano è una lingua più diretta, più schietta, più sincera, più articolata, ricca di modi di dire. E’ una lingua musicale, perfetta per fare qualsiasi cosa soprattutto per il rap.
Fugo – E’ vero, come dici tu, tanti partecipanti a Nuova Scena erano di Napoli. Io credo che questo avvenga perché ormai è appurato che tutta Italia, anche chi non lo capisce bene si ascolta il rap in napoletano. Perché è una lingua più cattiva, più adatta al rap.
Io dico sempre che anni fa il sogno di tutti qua a Napoli era diventare calciatore. Oggi invece sognano di diventare rap-star. Perché ormai il rap è ovunque, quello che provano tutti a fare è comprarsi un microfono e fare i soldi facendo il minimo sforzo.
Dope One – Kid Lost, il vincitore di “Nuova Scena” lo conosco molto bene, da tanti anni. Questo programma è stato un mezzo molto importante per arrivare ad un obiettivo importante. Ma devo essere sincero, il programma e i suoi meccanismi non mi hanno fatto impazzire, di tutta la trasmissione mi è piaciuto solo Kid Lost, appunto. Sono molto felice che il vincitore sia stato lui perché è un ragazzo come noi che viene dalle jam, dall’hip hop vero e, forse per la prima volta, ho visto vincere chi davvero se lo meritava. Solo per la sua vittoria quindi questo programma mi ha lasciato un bel ricordo, non per il resto che non mi è piaciuto.
Dekasettimo – La mia impressione è che non ci sia stata una selezione poi così “aperta”, mi sembra piuttosto che siano andati a pescare gente che su Tik Tok aveva fatto già qualche numero.
Poi torniamo al discorso di prima parlando del rap a Napoli, personalmente non credo che adesso ci siano più rapper rispetto a prima.
Nell’ep si sente spesso ripetere la dicitura “Figli di HH” cosa significa?
Giorno Giovanna – Figli di HH è stato il primo nome che avevamo dato al progetto, prima di scegliere DNA. Non è altro che la storpiatura del modo di dire Figli di NN, ovvero i figli di nessuno, coloro che non sanno chi sono i propri genitori. Per questo motivo la senti spesso nei testi.
Come è stato lavorare insieme?
Dope One – Insieme abbiamo lavorato benissimo perché essendo tutti appassionati di hip hop, anche se abbiamo età differenti, abbiamo vissuto situazioni e momenti simili. C’è stata subito una grande affinità anche perché Fugo e Dekasettimo che sono i più “piccoli” hanno da subito dimostrato rispetto e stima per me e Giorno che siamo un po’ più grandi, riconoscendo quello che abbiamo fatto in passato. Allo stesso modo io ho lo stesso rispetto nei confronti di Giorno Giovanna, che è venuto prima di me. E la stima è reciproca, tra tutti noi.
La componente “recognize the real” è stata il filo conduttore del gruppo. Ecco, io credo proprio che se questo gruppo è nato è stato proprio per il riconoscimento della stima e del rispetto reciproco.
Giorno Giovanna – Dope lo conosco da una vita, anche se io ho iniziato prima lui è comunque un veterano. Lo conosco dagli albori, si vedeva subito che era innamorato dell’hiphpo e lo giudico, oltre che una persona buona, un rapper potentissimo, uno dei migliori in circolazione.
Anche Dekasettimo lo conosco da tanto, anche se è arrivato un attimo dopo. Uscì che già era fortissimo e adesso è ancora più forte. Negli anni ha dimostrato di essere uno dei più forti della città e non è una persona che si atteggia, anche se tanti parlano e dicono di essere i migliori lui senza parlare tanto l’ha dimostrato. E’ un king.
Fugo ascolta rap forse da quanto tempo lo ascoltiamo noi, ma ha iniziato dopo. Ma se fai un rapporto tra il tempo passato da quando ha iniziato e il livello che ha raggiunto, devo dire solo che Fugo è un fottuto genio. Ha bruciato le tappe, è diventato fortissimo in pochissimo tempo. E’ diventato un mostro, fa paura. Quando ho fatto sentire la roba dei DNA ai miei amici hanno detto “ma chi è questo?? È il più forte”.